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Agosto: Giornata nazionale al Meeting di Rimini

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Incontro al Meeting di Rimini 2004


NATALE COLOMBO (USMATE). Innanzitutto porto i saluti miei personali e di tutta la Fraternità che guida il nostro gruppo. Già da qualche anno siamo presenti al Meeting di Rimini per testimoniarci la possibilità che attraverso la Fede il dolore abbia un senso.
Apriamo quest’incontro con dei canti propostici da Claudio Chieffo che ci dimostra sempre grande amicizia.

Claudio Chieffo. Canterò la canzoni che ho composto per Lidia e per un’altra ragazzina, entrambe sono per voi.

            Una ragazza strana…… Claudio Chieffo

            Dedicata a Lidia Macchi

            Una ragazza stana, rideva e ballava,
            guardava negli occhi chi la guardava.

            Era bellissima di grazia e di stupore,
            ma erano strane le sue parole

            Girotondo della vita e della morte,
            ma la vita ha vinto già.

            La finestra è illuminata nella notte,
            e lo sposo la vedrà.

            Dalla notte buia nasce un giorno nuovo,
            per rovesciare il tempo del dolore.

            Luce chiarissima di grazia e di stupore,
            era questo che sentivamo in cuore.

            Girotondo della vita e della morte
            ma la vita ha vinto già.

            La finestra è illuminata nella notte,
            e lo sposo la vedrà

            La ragazza strana smise di ballare
            e in un silenzio d’oro cominciò a volare

            Era bellissima di grazia e di stupore,
            ma erano vere le sue parole.

            Girotondo della vita e della morte
            ma la vita ha vinto già
            La finestra è illuminata nella notte
            e lo sposo arriverà…


Don Giancarlo. Affidiamo il nostro cammino a colei che è la madre di Dio ed era là, ai piedi della Croce, vedeva l’olocausto da cui siamo nati e da cui è scaturita la sorgente della nostra speranza.
Risvegliamo dentro di noi quel grido: “Donna ecco tuo figlio” e “Uomo ecco tua madre” recitando l’Ave.

Giorgio Macchi (Varese). Ciascuno di noi ha bisogno dello Spirito Santo perché ci aiuti e ci guidi in questo cammino difficile. La canzone di Chieffo ci invita a guardare oltre, parla di Lidia ma anche di ognuno dei nostri figli.
Il nostro stare insieme vuole essere d’aiuto per scoprire la parte generante del dolore, che normalmente nella persona singola, è sommersa dallo strazio per la perdita. E’ difficile vedere “la finestra illuminata nella notte buia”come ci ha cantato il nostro amico.
Lidia è stata uccisa con ventinove pugnalate, non sappiamo ancora da chi. Queste pugnalate non le ha ricevute solo lei, ma le abbiamo ricevute anche noi. Il nostro cammino avrebbe potuto fermarsi allo strazio per la perdita, senza percepire la trasfigurazione generante del dolore. In un abbraccio, Don Giussani, che ci aveva incontrati nel momento più critico, mi aveva parlato della trasfigurazione del dolore senza che io, però in quel momento, ci capissi qualcosa. Ciò che vedevo allora era solo la scomparsa di mia figlia Lidia, la sua uccisione. Desideravo ardentemente che le fosse fatta giustizia umana. Attraverso la morte di Lidia, invece, abbiamo conosciuto la giustizia divina.
Per ognuno dei nostri figli c’è la nostra resurrezione, non dobbiamo avere nei nostri cuori la tomba. Loro ci aspettano. Noi chiediamo a loro che ci aiutino ad intraprendere un cammino di salvezza.
Il dolore provoca un grido che esprime un bisogno e molte volte rimane soffocato all’interno della famiglia, spesso generando situazioni d’incomprensione. Intorno alla famiglia, tra i parenti, si sparge un’aura di sofferenza che isola sempre più.
Il nostro inizio è stato invece d’apertura perché siamo stati accompagnati innanzitutto da nostra figlia Stefania e dal suo gruppo d’amici, poi dalla nascita di Alberto. Una vita fioriva mentre un’altra si spegneva. Sono poi iniziate anche le nostre testimonianze girando per le varie parti d’Italia. Mi accorgevo di come le persone aspettavano di poter parlare con qualcuno con cui si sentissero in sintonia. Per poterlo fare ci sono dei momenti speciali in cui aprire il proprio cuore.
Marilena, che purtroppo non è più con noi, è stata il tramite attraverso il quale Giorgio Targa, Marcello Crolla ed io, abbiamo potuto incontrarci. Nei primi incontri fra di noi non si faceva altro che piangere; era il modo per costruire i primi fili di un’amicizia in un ambito dove purificarsi, liberarsi. Quando siamo di fronte a certi bivi occorre selezionare le amicizie per trovare chi conduce alla salvezza, attraverso la compagnia. Senza che noi lo volessimo o potessimo prevederlo questa compagnia, a poco a poco, si è allargata.
Abbiamo potuto vedere che, senza un’amicizia, dentro dolori così grandi, la singola persona si smarrisce. Serve inoltre una guida perché non ci si fermi solo alla causa generatrice del dolore, col rischio di essere oppressi anziché esserne illuminati. Abbiamo avuto la grazia di incontrare don Giancarlo Greco che ci ha guidati con la sua autorità e il suo carisma.
Nel percorso del dolore occorre avere pazienza. Per ciascuno ci sono dei tempi e dei modi personali. Citando il titolo del Meeting posso dire che nessuno di noi si sente arrivato, ma viviamo in una continua tensione che ci porta a camminare sempre. La trasfigurazione del dolore passa attraverso l’amore ai nostri figli e porta alla missione, al compito di incontrare altri genitori. Il metodo è l’accoglienza e l’accompagnamento individuale.
Ogni volta che ho l’opportunità di fare degli incontri, mi accorgo di uscirne fuori sempre più arricchito. Le confidenze di cui sono stato depositario non possono essere disperse. Sono come una fortezza che si edifica in ognuno di noi come aiuto gratuito all’altro. I nostri figli diventano così il tramite per la nostra salvezza.
La figura del sacerdote è d’aiuto, indica la strada, ma la domanda deve nascere da chi ha il problema, lasciandosi coinvolgere dalla vita, trascurando la paura di non essere all’altezza del compito, ma chiedendo l’aiuto dello Spirito Santo. I nostri figli continueranno ad essere vivi dentro di noi fino a quando ci sarà questa tensione nel nostro cuore. Loro ci daranno la forza per continuare e per andare avanti.

Marcello Crolla (Busto A.). Il mio saluto a tutti voi è un grazie a Colui, più grandi di tutti noi, che mi ha chiamato qui, oggi, a rendere testimonianza. Vivo questa giornata come un miracolo, noi ci troviamo qui radunati da varie parti d’Italia, per percorrere un cammino di fede e di speranza dopo la morte di un figlio.
Mio figlio Mirko è morto a causa di un virus. Durante i suoi tre mesi d’ospedale mi sono sentito piccolo, inutile, perché non potevo fare nulla per salvare la vita di mio figlio. Come padre pensavo di avergli insegnato molto. Le cose si sono rovesciate, poiché lui con la sua sofferenza, nella coscienza di andare verso il Signore, mi ha dimostrato che la vita ha un altro valore. Vale la pena di vivere la vita intensamente in ogni momento. Mirko era in coma e i medici mi dicevano che non era più in grado di capire ciò che avveniva intorno a lui. Ricordo che gli chiesi di stringermi la mano nel recitare una preghiera. Mirko mi strinse la mano. In lui c’era qualcosa che nessun medico avrebbe potuto spiegare. Questo è stato il momento in cui ho capito meglio le parole del Padre Nostro: “Sia fatta la Tua volontà, come in cielo, così in terra”. Non era la mia volontà che si stava compiendo in quel momento, era la volontà di Dio. Si stava chiudendo una porta, ma me ne si apriva un’altra: quella dell’amicizia e di quello che ne è conseguito.
Posso dire, di là della morte di mio figlio, che la vita è bella. Mio figlio era amante della vita, aveva sedici anni e voleva vivere, possedeva un desiderio sfrenato di vivere. Non posso dire che Mirko è morto, dico che ha solamente cambiato luogo. Prima lo vedevo fisicamente ma stavo poco con lui, adesso lo vedo sempre, è sempre dentro il mio cuore.
Dovevo continuare a vivere dando un senso alla vita, senza chiedermi troppi perché. Perché proprio a me? Ma cosa mi ha insegnato la vita in quegli anni in compagnia di mio figlio? E’ iniziato un cammino di fede, il desiderio di continuare a vivere in un modo diverso da prima e a cercare quella felicità per la quale Dio ci ha creati. E’ un cammino che mi porta a dire ad altri genitori che si può e si deve continuare a vivere perché, come ci ha detto Chieffo, la morte non è l’ultima parola, la vita ha vinto già. Certamente occorre pazienza, inizialmente c’è bisogno di piangere, di sfogarsi; ma c’è anche necessità della resurrezione. Il senso della morte si può incontrare solo attraverso l’amore per la vita. Ci è fatta, attraverso la morte, la richiesta di un cammino nuovo.
Per noi essere qui al Meeting rappresenta il desiderio di comunicare ciò che abbiamo incontrato, è la nostra risposta alla chiamata di Cristo. Con la nostra intelligenza e raziocinio non possiamo dare risposta a certi interrogativi, troviamo tale risposta solo abbracciando l’amore di Gesù. A ciascuno, in questa vita terrena, è chiesto di portare una croce; la nostra è pesante, ma dobbiamo saperla portare con umiltà. Se osserviamo il Crocefisso vediamo Gesù con le braccia aperte, sembra voler dare il suo abbraccio a ciascuno di noi accogliendoci nella sua amicizia.

Anna Rimoldi (Busto A.). Abbiamo preparato, per questi anni di presenza al Meeting, dei pannelli con i passaggi più significativi della nostra esperienza umana. Ai testi sono affiancati delle immagini per noi significative.
Il primo pannello ci parla di uno sguardo che va’ oltre la morte di un figlio. La domanda da cui partiamo è la stessa. Qual’è il senso della morte di un figlio. Oltre a chiederci il perché ciò che ci mobilita e ci angoscia è lo scopo. La risposta è un cammino di ricerca attraverso il quale passare da un non senso di quanto ci è accaduto, alla vita e alla speranza. Abbiamo riportato una frase molto significativa della lettera apostolica Salvifici dolori di Giovanni Paolo II in cui vediamo la partenza e l’approdo di questo nostro cammino. La partenza è il bisogno del cuore che vuole vincere il timore del dolore profondo. Troviamo nella fede un imperativo che ci fornisce il contenuto con il quale possiamo toccare, avvicinare e superare il dolore. L’uomo, nella sua sofferenza, rimane un mistero intangibile. Grazie alla fede possiamo dare forza e contenuto anche all’amicizia che ci offriamo, per attingere all’esperienza del dolore. L’immagine da noi scelta è opera di un nostro amico, che vive nella provincia di Como. Vi sono rappresentati dei ragazzi, in modo particolare il figlio David.
Il secondo pannello che abbiamo costituito è il dramma. Per la nostra ragione la morte è assurda, non riusciremo mai a capire le ragioni del suicidio di un figlio, il perché di certe malattie o degli incidenti. Chi si ferma solo ad un’analisi razionale degli eventi ne rimane deluso, perché non arriverà mai a spiegazioni sufficienti. La ragione è in scacco totale, non arriverà mai a colmare quello che il nostro cuore sente in quel momento. Per questo molti si disperano e cercano di sfuggire alla realtà. Abbiamo preferito per questo pannello un’immagine di Chagall: La pendola, che rappresenta il tempo. Per noi il tempo è un elemento fondamentale, innanzi tutto perché dividiamo la nostra vita tra il prima e il dopo l’evento. Il tempo è anche legato al qui dei nostri ragazzi. E’ un elemento che ci angoscia anche un po’ in quanto legato alla loro presenza tra noi. Noi però desideriamo andare oltre quel loro qui, in un abbraccio che sia più definitivo e totale. Nel quadro abbiamo ritrovato altri elementi che sono le configurazioni di questo abbraccio: fiori, luci, presenze vive.
E’ riportata una parte di una testimonianza di Marcello: “Noi abbiamo il diritto e il dovere di continuare ad avere la speranza. Chiudersi in un cuore arrugginito sarebbe come far morire di nuovo i nostri figli. E’ più umano e più saggio aprire il nostro cuore e chiedere al Signore aiuto perché possiamo, giorno dopo giorno, continuare a guardare la nostra realtà. La vita deve continuare ad avere un senso, un grido nella speranza”.
Nel terzo pannello abbiamo sintetizzato come per noi, uomini bisognosi di relazioni e incarnati nella nostra storia, l’aiuto e la grazia del Signore ci vengono incontro attraverso una compagnia.
L’incontro con una compagnia di amici passati dallo stesso dolore e divenuti strumenti della grazia di Dio. Chi è provato dalla sofferenza vive l’attesa di poter incontrare qualcuno o qualcosa, soprattutto un’amicizia, grazie alla quale sentirsi capito e condiviso. Quando il dolore è lasciato a se stesso, devasta. Richiede tantissime energie dalla famiglia e dalla coppia, a volte diventa difficile mantenere stabile la relazione di coppia. Quando invece è illuminata da Cristo diventa una risorsa che purifica la vita, rendendola più vera. Chi è consapevole di avere una tale risorsa si mobilita, per comunicarla a chi ne ha bisogno.
Ciò che mi ha più depresso dopo la morte di mio figlio Matteo, era la mancanza di speranza. Un genitore progetta per suo figlio e ad un certo punto non c’è più niente. Attraverso l’incontro con gli amici di Famiglie in cammino e con il loro modo di vivere, sono riuscito a riconoscere Cristo sul loro volto e a ritrovare la fede e attraverso la fede la speranza di rincontrare mio figlio.
L’immagine scelta è un’altra volta un’opera di Chagall: Il figliol prodigo. E’ evidente l’abbraccio del Padre nei confronti del figlio. Per noi il Padre è la nostra compagnia, i nostri amici che ci accolgono con un abbraccio continuo, ci sostengono e ci aiutano a rigenerarci.
Questo pannello è un passaggio alla trasfigurazione del dolore. In molte persone che abbiamo conosciuto è avvenuto. La trasfigurazione del dolore è la speranza in Cristo Risorto e di scoprirsi poi strumento di speranza per altri. Vediamo la figura di Cristo luminosa che richiama un grande popolo.
Il realismo ci chiede di accettare la vita com’è, con le sue pene, i drammi, le perdite, le attese. Dopo la redenzione operata da Cristo si può dare un valore anche al non senso, o allo scacco più devastante, quale la perdita di un figlio o quale la propria morte. Noi non eliminiamo il dolore, non cerchiamo a tutti i costi la soluzione dei problemi, ma la loro trasfigurazione, che permette di dare valore all’esistenza e a quanto di bello e di buono i nostri figli ci hanno lasciato. Così ne riviviamo la memoria. Solo così il vuoto lasciato dalla perdita si carica di presenza e noi possiamo diventare tessitori di rapporti contrassegnati dall’accoglienza e dalla condivisione. Un’accoglienza e condivisione che non è soltanto relativa ad altre famiglie che vivono la stessa esperienza. Molti di noi hanno avuto una dilatazione del loro cuore e sono stati capaci di opere, di impegni, di volontariato, molto importanti e significativi. Questa è un’accoglienza ampia dei bisogni, una condivisione dell’umano sofferente sotto tanti aspetti della realtà. Leggo ora una testimonianza di Simonetta e Gilberto che non hanno potuto essere presenti.
A seguito di un incidente automobilistico sono morte la mia unica figlia, la mia mamma e mia nonna. Avevo perso in un colpo tre generazioni. Più prendevo consapevolezza di quello che era successo e più cresceva in me e in mio marito Gilberto la certezza che un evento così grande non potevamo viverlo da soli. L’incontro, apparentemente casuale, con Famiglie in cammino, ci ha cambiato completamente la prospettiva facendoci intravedere, in mezzo al buio, una luce. Qui abbiamo rincontrato Cristo, abbiamo iniziato un cammino di fede, che ci ha portato ad una crescita spirituale e ad aiutare chi, il Signore, mette sulla nostra via.
Oggi Gilberto e Simonetta vivono veramente una famiglia rinnovata. La loro Francesca non c’è più, ma sono stati capaci di dilatare la loro famiglia e il loro cuore, da accogliere due bambini Cileni che sono con loro da tre anni. Sono stati capaci di rispondere alla grazia del Signore che gli ha fatto conoscere tanti bisogni.
Da ultimo la nostra identità. Una proposta di condivisione del dolore in un cammino di speranza fondata su Cristo. La morte di un figlio è sicuramente un dramma forse più grave che una famiglia possa provare. Come tale può tramutarsi in una tragedia, quello di perdere il vero valore della vita e costringere il nostro sguardo entro limiti angusti del tempo, purtroppo breve, della vita dei nostri figli, sentendone così solo la precarietà e la limitatezza. Si tratta di un cammino non certo facile. La trasfigurazione del dolore passa obbligatoriamente attraverso l’accettazione della croce di Cristo che salva e rigenera. Questo è l’orizzonte in cui si alimenta la nostra appartenenza a Famiglie in cammino, che vissuta con la modalità pedagogica del carisma di Comunione e Liberazione, ci aiuta a superare la solitudine del dolore, attraverso l’accoglienza e la condivisione. Nelle nostre assemblee meditiamo uno degli ultimi testi di don Giussani: Il miracolo dell’ospitalità. Lo facciamo con tutte le persone con cui condividiamo questo cammino, che non necessariamente fanno parte del Movimento. Ciò che il nostro cuore porta a suggerire e il messaggio del Risorto afferma con assoluta verità è che tutto in noi è orientato all’eterno.
Per questo abbiamo scelto l’immagine di Du Brevill il quale sprigiona verso l’alto, un alto che non è interrotto ma continua, un fascio di luce che pur movendo dalle macerie di una città distrutta nel suo interno e oscura, è capace di sprigionare luce e vita.

Silvan(Rimini). Mia figlia Maria è morta da un anno e mezzo a ventuno anni. Era la più grande di cinque figli. Vorrei raccontare un particolare che mi ha colpito e insegnato molto. Ho vissuto la difficoltà dei miei amici a starmi vicina. Ho capito che questa difficoltà nasceva innanzitutto in me, poiché un certo senso del pudore mi faceva rimanere isolata. Il giorno dopo la morte di mia figlia, un padre del mio paese che aveva perso anche lui la figlia, pur non conoscendoci, è venuto da noi ad abbracciarci. Questo gesto mi ha fatto capire che in un dolore così grande, è necessario sentirsi abbracciate. La paura del mondo moderno di stare di fronte al dolore ha inquinato anche i cristiani. Aspettavo parole di speranza che purtroppo non venivano dette. Ho capito che non potevo più barare e dovevo seguire l’esempio di quel padre, dovevo farlo per tutti coloro che sperimentano il dolore della morte. Per qualcuno anche la morte di un nonno può rappresentare una tragedia.

Enrico e Rossana. La mia più che una domanda è una testimonianza. In questi giorni viviamo un momento di esaltazione contrapposto al dolore per i continui fatti terroristici. Da venticinque anni viviamo con il ricordo dell’esperienza orribile scaturita dalla strage della stazione di Bologna, poi due anni fa è morto nostro figlio. Abbiamo superato questi momenti grazie all’incontro del movimento di don Giussani, vivendo il Meeting e la nostra compagnia.
Stiamo anche vivendo il momento importante della beatificazione di Alberto Martelli che ho personalmente conosciuto e frequentato per dieci anni. Alberto aveva otto anni più di me e l’ho conosciuto frequentando l’oratorio dei Salesiani. Ho un ricordo molto caro della sua amicizia. Avevo sedici anni ed Alberto propose una gita in bicicletta al castello di Bogara. Dopo la Messa ritornammo a Rimini gareggiando tra noi. La bicicletta di mia mamma si era rotta, io rimasi ultimo e intanto si stava facendo notte, mancavano ancora cinque chilometri per arrivare a Rimini. Nel crepuscolo ho visto arrivare Alberto che veniva a cercarmi. Cominciò a darmi vigorose spinte e mi accompagnò a casa. Nelle tragedie che ho vissuto durante la mia vita ho sempre chiesto ad Alberto una spinta per andare avanti.
La mamma di Alberto era una persona dolcissima che soccorreva i poveri. Era capace di far stare senza cena i figli e quando questi trovavano la dispensa vuota diceva che era passato Gesù Bambino. I figli non ne avrebbero sofferto fisicamente, quindi preferiva dare ai poveri quello che era destinato alla famiglia. La mamma di Alberto aveva sei figli, un figlio fu investito da una macchina e morì. La famiglia non volle che fosse perseguita nessuna azione giudiziaria verso il colpevole. Morì poi il padre e da quel momento Alberto divenne capo famiglia, anche se non era il maggiore dei figli. Nel 1943 morì un altro figlio e nel 1946 morì Alberto. Ho voluto ricordare la mamma di Alberto perché fu una donna che non si perse mai d’animo.

Albina Taglianetti (Roma). Noi abbiamo conosciuto Famiglie in cammino attraverso il Meeting. Abbiamo perso nostro figlio due anni fa per leucemia, il 15 agosto di due anni fa. Una mia amica aveva preso il pieghevole allo stand di Famiglie in cammino e mi ha invitata a leggerlo e a parlare con le persone di questo gruppo. Mi ha molto colpito la preghiera tanto che l’ho subito recitata con mio marito e poi l’abbiamo voluta incidere sulla lapide. A febbraio abbiamo avuto il coraggio di metterci in contatto con Famiglie in cammino, fino a quando abbiamo capito che da soli non saremmo riusciti ad affrontare questo dolore. Per noi questo gruppo ha rappresentato un grande aiuto, in loro abbiamo potuto vedere che la resurrezione era possibile. Tutte le volte che ci è possibile cerchiamo di fare il sacrificio di trovarci con loro a Busto, la distanza non conta e le possibilità di tenerci in contatto sono diverse: dalla telefonata alle e-mail.
Abbiamo poi ritenuto necessario invitare il gruppo di Famiglie in cammino ad un pellegrinaggio a Roma, perché incontrassero i nostri amici ed altre famiglie provate dalla nostra stessa sofferenza. Per me non era facile compiere questo gesto, mio marito mi ha spronata perché desiderava compiere lo stesso gesto di accoglienza che lui aveva ricevuto. Dopo questa prima mossa abbiamo incominciato ad incontrare famiglie con la nostra stessa esperienza. Ci troviamo in modo semplice per conoscerci e condividere delle serate. Non sappiamo dove ci condurrà questa nostra esperienza ma la sentiamo estremamente importante per la nostra vita.

Don Giancarlo. Vorrei chiudere questo nostro incontro facendo riferimento a quella bellissima immagine che Claudio, nella prima canzone, ci ha fatto immaginare: la finestra illuminata nella notte della vita. Ogni uomo, che sia provato dalla perdita di un figlio, che sia sofferente per la presa di coscienza dei suoi limiti, ha sempre bisogno di una luce che irrompa nella sua vita indicando la direzione del cammino. Famiglie in cammino, come altre realtà che vivono nella società civile, è una compagnia che mi auguro possa crescere come persone che, possano, fermandosi un istante, dire che anche nella propria notte, un certo giorno, hanno dovuto spalancare una finestra del proprio cuore, sorpresi da una luce che attrae. Aprendo la finestra si sono accorti che questa luce da’ speranza, offre consolazione, comunica certezza, libera energie. Molti hanno evidenziato la trasfigurazione, cioè il cambiamento avvenuto in loro. Mi auguro che Famiglie in cammino possa continuare ad essere un luogo che accogliendo, cresce, con uomini capaci di riconoscere l’abbraccio dell’eterno. L’uomo è orientato all’eterno e quando l’eterno, Dio, si affaccia sull’esistenza e l’uomo lo percepisce, si sente guardato, si sente amato da questo sguardo paterno, allora rinasce. Che la finestra continui ad illuminarci nei momenti bui della vita e da chi vive ancora nella notte, non illuminato dal significato della resurrezione. Chiudiamo quest’incontro con la preghiera di Famiglie in cammino.
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