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Gennaio: Incontro mensile

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Assemblea di gennaio 2004
 

Natale Colombo (Usmate). Anche quest’anno, come già per il passato, ci incontreremo mensilmente per raccontarci le esperienze. Saluto i presenti anche a nome degli amici assenti per motivi di salute: Giorgio Macchi, Fausto Benzi, Valeria Borsani, Elviro Del Bello... Oggi la nostra preghiera li terrà presenti.

Don Giancarlo. Oggi è la festa della Sacra Famiglia. Negli ultimi anni è diventata una occasione per ridestare la coscienza circa la vocazione della famiglia che è il perno dell’educazione. Ciascuno di noi, partendo dal proprio retroterra familiare, può trarre un bilancio criticamente adulto secondo il noto principio culturale “Vagliate ogni cosa e trattenete ciò che vale”. Al cristiano è chiesto di vivere quotidianamente tale verifica partendo dalle sue risorse inesauribili. L’uomo infatti è assetato di Infinito, viene dall’Infinito e si muove verso di esso. L’uomo è pellegrino dell’Infinito.
Vi invito a vivere il pomeriggio in una condizione di pacatezza e tranquillità. Il nostro incontro mensile ci fa riposare e ci placa. Un contesto umano è riposante quando ci fa stare di fronte alle fatiche e ai problemi senza l’impazienza di chi vorrebbe subito risolverli per voltare pagina.
Diamoci la possibilità di pregare insieme per recuperare la vita che ci è stata affidata e che, in molti casi, abbiamo già restituito. Non tutti però sono già riusciti a restituire la vita dei loro figli a Dio che ce li ha donati con un gesto di libera offerta. Questo non deve scandalizzare perché ognuno ha i suoi tempi di maturazione. L’importante è riconoscere che la preghiera ci mette nuovamente in relazione con loro. La ferita incancellabile possa rendere attenti all’invito di Gesù: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e stanchi. Io vi ristorerò.”

Canto: Il Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino…

Salmo:

Il Signore è mio pastore:
non manco di nulla;
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura
non temerei alcun male perché tu sei con me.
Il tuo bastone ed il tuo vincastro Mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa
Sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo
il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne
Tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.

Preghiamo il Signore rispondendo: “Vieni Signore Gesù”.

- Signore Gesù, vieni a stare con noi, in casa nostra, e in tutte le famiglie del mondo, ti preghiamo…

- Signore Gesù, ti preghiamo per le famiglie che non hanno la casa, per quelli che l’hanno persa nelle disgrazie e nelle guerre, per chi la sta costruendo con fatica: fa’ che la nostra famiglia non sia indifferente verso chi è privo di questo bene, ti preghiamo…

- Signore Gesù, sostieni con la tua grazia le case dove regna la pace, dove ci sono bambini, anziani, sofferenti, dove si condivide l’amore, ma anche le case dove regna la divisione, dove c’è malattia, solitudine e morte: per tutti ci sia la tua Provvidenza, ti preghiamo…Padre nostro…

Canto: Pon tus manos en la mano del senor de Galilea…

Don Giancarlo. Non dimentichiamo il lavoro in corso su: “Il miracolo dell’ospitalità”. Il metodo che facilita la maturazione del proprio io non è lo sfogo ma l’apprendimento del vero e del bello. Se qualcuno li testimonia ci pone nella condizione di accoglierli e di farli nostri.
Per diventare coscienti dell’incontro col Signore attraverso la mediazione di altre persone occorre voler loro bene.
L’amore alla persona deve essere vissuto in libertà. La nostra amicizia ne è la conferma.
C’è una forma di dolore che non si identifica con una disgrazia bensì con l’ impatto sulla diversità. degli altri. Don Giussani, alle cui intuizioni e formulazioni noi guardiamo, afferma: “L’amore alla persona, deciso liberamente e che educa gradualmente alla condivisione, porta anche a questo salto di qualità: non solo ad accettare il dolore del diverso da me ma ad amare il diverso. Ad amare quindi il dolore. Sembra un paradosso ma è il frutto della carità.”

Vito D’Incognito (Milano). Quanto più si è in pace con se stessi tanto più si ama se stessi. Questa verità mi ha reso maggiormente disponibile ad amare l’altro. A volte il fatto che, su alcune scelte, non ci sia il completo accordo con l’altro, fa star male.
Nel periodo di Natale ho trascorso con Savina qualche giorno presso le monache benedettine di Vetralla in provincia di Viterbo. E’ stata un’esperienza che ci ha arricchito e ci ha donato serenità. Lì abbiamo avuto occasione di fare nuovi incontri. In quei pochissimi giorni la pace e la serenità ci hanno permesso di costruire relazioni affettive profonde.
Il mattino di S. Stefano la S. Messa è stata celebrata in memoria di un ragazzo di nome Stefano. Le parole pronunciate dal sacerdote sembravano rivolte proprio a noi. Seduti dietro a noi c’erano i genitori di questo ragazzo. Una delle monache gli aveva parlato della nostra esperienza di Famiglie in cammino a seguito della morte di nostro figlio Leonardo. Al termine della celebrazione abbiamo incontrato questi genitori e il sacerdote che ha intravisto una possibilità di aiuto attraverso il nostro gruppo.

Fiorina Canato (Cairate). Per me e mio marito frequentare Famiglie in Cammino è sempre di grande aiuto.
E’ vero che possiamo essere d’aiuto a chi ha perso un figlio ma è altrettanto vero che possiamo aiutare anche tante persone sofferenti. In questi giorni mi trovavo in ospedale e vicino a me c’era una signora disperata per la malattia del marito. Imprecava ed insultava Dio.Le ho parlato della nostra esperienza incoraggiandola a trovare conforto nella fede. Questa signora si è meravigliata di come potessi avere ancora la forza di mostrare serenità. Mi ha ringraziato per la mia testimonianza e mi ha chiesto di ricordarla con una preghiera.

Don Giancarlo. Ciascuno di noi può aiutare sia chi ha perso figli sia chi soffre in altri modi.. Ricordiamoci che ogni uomo si trova in una condizione di sofferenza.
Gioire e soffrire, attendere e domandare è della natura umana. Noi stiamo capendo che ci troviamo in una condizione segnata dalle conseguenze del peccato e vogliamo affrontare la vita alla luce dell’evento della redenzione di Gesù Cristo che ha abbracciato e trasfigurato il dolore. Dio non conosceva la sofferenza. L’ha voluta provare attraverso Gesù. Questa è la novità sconvolgente del Cristianesimo. L’amore rende capaci di assumere il dolore e di amare l’uomo che lo porta in sé.
Possiamo aiutare tutti nella misura in cui ricuperiamo e approfondiamo quello che Fiorina ha detto all’ammalata, compagna di camera.

Giorgio Targa (Milano). Vorrei commentare la frase di don Giussani: “Solo se abbiamo coscienza di essere amati, chiaramente o confusamente, implicitamente o esplicitamente, noi possiamo amare. Vale a dire abbracciare, accogliere in noi, condividere.”
Noi siamo partiti dalla nostra famiglia e, proprio oggi in cui si ricorda la famiglia di Nazareth, io ho fatto memoria dell’amore che i miei genitori hanno avuto verso di me in tutte le circostanze della vita.
Eravamo allora nel primo dopoguerra, con le difficoltà di tutte le famiglie di allora. La mancanza di mezzi economici che è stata superata dall’amore e soprattutto dalla loro fiducia riposta nella Provvidenza di Dio che non è stata disattesa.
Il bagaglio di amore che ho ricevuto per grazia, l’ho poi riversato nel matrimonio con Raimonda e su nostro figlio Leonardo. Quando il Signore lo ha chiamato a sé, dopo un periodo di sbandamento e dolore, ci siamo resi conto che in questo destino, in questo mistero, Gesù Cristo ci amava donandoci il suo aiuto. Questo senso di amore ci ha dato il coraggio di condividere la nostra storia con altri genitori. E’ una storia misteriosa ma di condivisione, di aiuto e di solidarietà umana.

Enrico. Tutto quello che è stato detto mi ha molto commosso. Io non ho provato la perdita di un figlio, ho solo accompagnato qui Elena e Pierangelo.Adesso non so se io ho accompagnato loro o loro hanno accompagnato me.
Ho contattato Flora e abbiamo parlato di come poter condividere in comunità questo grande dolore. Ho scoperto che vicino al nostro paese c’è una casa d’accoglienza per bambini e da questo, nella nostra comunità, si sta generando un intreccio di caritativa. Alcune famiglie hanno dato la loro disponibilità per accogliere nelle loro case questi ragazzi. Questo è quanto ha generato la morte di Davide. E’ proprio vero che da un evento doloroso possono misteriosamente nascere cose bellissime.

Maria Vallini (Vimercate). Il 27 dicembre sono stata in Terra Santa. Questo pellegrinaggio è stato un’esperienza molto forte sia per i luoghi che abbiamo visitato sia per le persone che, lungo il tragitto, il Signore ha messo sulle nostre strade rendendo ancora più intensa la visita della terra di Gesuù.
Siamo partiti in dodici, come gli Apostoli. La partenza è stata è stata rimandata di ben 5 ore a causa di un guasto tecnico all’aereo. La lunghezza dell’attesa ci ha aiutati a partire con maggior serenità.
I luoghi visitati sono stati Nazareth e Gerusalemme. Rivivere le vie in cui Gesù ha predicato e camminato è un’esperienza difficile da spiegare. In quei momenti, in fondo, si tocca con mano la nostra fede e la nostra speranza. C’è un’enorme differenza tra il leggere per cercare di capire il vivere personalmente certe emozioni. Forse siamo tutti un po’ come S.Tommaso. Finché non si vede e non si tocca con i propri occhi e con le proprie mani, un piccolo dubbio rimane sempre nel nostro cuore. In me c’è sempre stato ma il ritorno alle origine mi ha aiutato a superarlo.
Sono rimasta molto colpita dall’incontro con padre Marco Riva, un giovane sacerdote che sta dedicando la sua vita al prossimo. In un vecchio monastero, infatti, ha attrezzato una struttura per accogliere dei bambini disabili e cerebrolesi. Il Centro sopravvive grazie alle offerte dei pellegrini. Da quest’incontro è nata la decisione di adottarne a distanza qualcuno. Come è possibile abbandonarli nella sofferenza?
Anche l’incontro con padre “Talpa”, un sacerdote così chiamato in quanto è un archeologo che scava alla ricerca di tracce raffiguranti simboli cristiani, è stato molto bello. In quell’occasione ci ha mostrato uno degli ultimi reperti: un frammento di roccia raffigurante un pane e un pesce, simbolo tangibile del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e dell’Eucaristia.
Un’altra figura carismatica che ci ha accolti è stato il cardinale Martini e il Patriarca di Gerusalemme che ci ha spiegato la storia politica dei palestinesi e degli israeliani. Ho capito che noi pellegrini non abbiamo nulla da temere, dal momento che questi conflitti sono legati al problema dei loro rapporti.
Abbiamo anche rivissuto il battesimo di Gesù al Giordano. La Via Crucis è stata l’ultima esperienza del pellegrinaggio. La serenità e la pace sono stati un vero dono di Dio che porterò sempre nel cuore. Certo anche qui il Signore mi ha voluto mettere alla prova quando, baciando la stella nel luogo della nascita, ho sentito un forte dolore alla schiena che si è bloccata. Il desiderio di camminare dove Lui ha camminato e vissuto era però talmente forte che nessuno mi ha fermato. Così, grazie anche al supporto degli altri 11 apostoli, ho potuto percorrere tutte le tappe di questo magnifico pellegrinaggio. L’emozione che mi ha lasciato è stata talmente intensa e forte che sicuramente ritornerò. Per questo ringrazio Marco, don Gigi e i miei insostituibili compagni di viaggio per il sostegno morale ricevuto nei momenti di difficoltà.

Elena Piatti (Varese). In questo momento, rispetto a tutto quello che è stato detto finora, mi sento come la voce del dissenso. Matteo è morto da due anni e io mi trovo in una fase di totale perdita del senso della vita. Non riesco assolutamente a capire e ad accettare quello che voi dite sull’amore di Dio nei nostri confronti. A me sembra che, quando muore un figlio, il resto della vita non abbia più nessun significato.
In alcuni giorni (e in questo periodo particolare della ricorrenza della sua morte) mi trovo a piangere disperatamente senza poter capire il perché di quanto successo. Non capisco dove si possa vedere un disegno d’amore da parte di Dio. Mi sento svuotata d’amore nei confronti degli altri e quindi nei confronti di tutto il mondo. Penso di non essere in grado di dare niente di buono a nessuno perché non ho niente per me. Non amo me stessa perché, dal momento che mio figlio si è suicidato, mi sento una madre completamente fallita. Provo enormi sensi di colpa per come sono andate le cose e, sentendomi una madre fallita, non ho amore a me e non riesco ad averne per gli altri.
Non capisco neppure come molti di voi possano pensare che Dio vi ami avendovi portato via un figlio. Non riesco assolutamente a entrare in quest’ottica. Non riesco ad accettare la realtà così come è.
Non capisco certi ragionamenti nonostante vorrei enormemente trovare la serenità che vedo e sento in alcuni di voi.In questo periodo, purtroppo, vedo la mia vita come un peso enorme. Se penso di dover vivere per sempre così spero di poter morire al più presto. Una vita così è devastante.Trovare uno sbocco mi sembra assurdo e impossibile.

Maria Rosaria De Benedictis (Vimercate). Gli interrogativi posti da Elena sono gli stessi che spesso vengono alla ribalta dal profondo del mio cuore. In tutti questi anni, con molta fatica, sto imparando a riconoscere che il Signore mi vuole bene. Nostra figlia era figlia unica. Con la sua scomparsa ci siamo trovati da soli. Una famiglia senza futuro. Frequentando Famiglie in Cammino, mese dopo mese, sto imparando che Dio ci vuole bene, anche se forse era meglio che ce ne avesse voluto un po’ meno.
In questi ultimi giorni ho letto l’appello del Papa che invoglia le coppie giovani a generare figli, visto che ne nascono pochi. Mi sono sentita molto colpita dalla frase “Una famiglia senza figli è senza futuro”.Dopo la perdita di nostra figlia faccio fatica ad immaginare un futuro per la nostra vita di coppia.
Figli ne nascono sempre meno. I giovani muoiono; perché? I nostri figli che avrebbero potuto fare tanto ci sono stati tolti.
Alcune sere fa ho sentito la notizia di una bambina che è attesa da cinque generazioni. La ritengo un’ingiustizia rispetto a mia figlia che avrebbe avuto solo noi ad amarla, nemmeno un nonno. Costato spesso in me un’altalenarsi di sentimenti.Vivo momenti in cui cerco di dare un senso alla vita e altri di ribellione.
Ancora adesso mi trovo in difficoltà ad armonizzare la mia vita tra gli incontri mensili e i rapporti che vivo nella realtà di tutti i giorni. Provo sempre sofferenza nell’ incontrare chi non ha vissuto un’esperienza così traumatizzante. Non capisco mai se le persone che incontro provano indifferenza o se sono incapaci di portare conforto.
Vorrei dire ad Elena di avere pazienza e di non disperare. Sono sicura che troverà un po’ di serenità nella Fede e nell’abbandonarsi al Signore.

Teresina Meroni (Erba) Sono convinta che non è Dio che ha voluto la morte di mio figlio. La morte è un evento della vita umana. Quindi non è Dio che punisce. Di questo sono fortemente convinta.
La morte di Davide in questi anni mi ha cambiato e sotto certi aspetti mi ha cambiato in meglio. L’amore infinito che si prova per un figlio mi spinge a riversarlo su altri. Mi sento di dare un po’ d’amore a chi sta vivendo situazioni difficili come le famiglie che hanno figli portatori di handicap. Una volta alla settimana vado in a far giocare i bambini ospedale nel reparto di pediatria.
Allo stesso tempo mi accorgo che nella quotidianità dei rapporti mi trovo cambiata dal momento che mi trovo a dialogare con chi non ha provato dolori come i nostri. A volte mi accorgo che non vivono bene la loro vita per delle inezie, per cose di nessun conto e proprio con queste persone ho dei rapporti più freddi, senza più voglia di ascoltarli. Dentro di me mi sento come divisa in due: aperta verso determinate situazioni mentre verso altre provo rabbia.

Cremona Sandro ( Legnano) Unire la morte di un figlio al fatto che Dio ci ama è la cosa più bella. Sappiamo che Dio ci ama perché Lui ce l’ha detto e ce lo ha dimostrato con la morte in croce. Quindi dobbiamo fidarci. Gesù ha affidato al Padre la soluzione di questa apparente ingiustizia che è stata la sua morte di giovane figlio:“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno.”
Si può unire l’amore di Dio con la morte di un figlio solo se si è capaci di perdonare, innanzitutto se stessi per gli sbagli commessi nei confronti dei nostri figli e poi Dio che per noi ha scelto questa storia.
L’esperienza del perdono è una formidabile esperienza che può dare serenità.

Giuseppe Forame (Milano). Mio figlio è morto da sei anni in seguito ad un incidente stradale. Ripensando ai primi momenti, mi sento molto vicino ad Elena e Maria Rosaria. Il dolore ha bisogno di uno sfogo naturale. nNon possiamo illuderci che, per il fatto di essere qui o perché ci rivolgiamo a Dio, tutto questo possa toglierci il dolore. Il dolore c’è e ci rimane per tutta la vita.
Diverso può diventare il modo in cui vivere questo dolore: con rassegnazione, con coraggio o con speranza facendo nascere dei fiori nuovi che possono dare senso alla vita.
Nei primi anni ero profondamente arrabbiato, non perché ce l’avessi con Dio. Ero arrabbiato con mio figlio perché era morto. Alcune volte la rabbia inconscia la proviamo con la persona a cui più si vuole bene perché ci ha rovinato la vita. Quando sono riuscito a perdonare a mio figlio di avermi lasciato, allora mi sono sentito più libero, più libero di abbracciare anche l’amore di Dio.
Questo amore non è arrivato perché è calata una folgorazione dall’alto; è stata una cosa graduale. E’ stato il frutto di essersi affidati smettendola di pensare alla vita come a un rapporto di causa-effetto: cioè il Signore mi ha dato, il Signore mi ha tolto.
Sono stato meglio con me stesso quando ho detto di sì a Famiglie in cammino. Il nostro incontrarci e lo stare insieme ha fatto in modo che io potessi capire che ero sulla strada giusta per stare con gli altri e ricevere anche l’amore di Dio.
Anche il Natale, ricorrenza terribile per un genitore che ha perso un figlio, può essere vissuto in modo diverso. Quest’anno per me è stata la memoria dell’incontro con Cristo. Io questo incontro lo faccio ogni volta che mi ritrovo nel gruppo di Famiglie in Cammino. Quindi per me il Natale è oggi.

Don Giancarlo. Quello che Giobbe ha affrontato esistenzialmente secondo il racconto dei libri sapienziali della Bibbia, noi lo affrontiamo adesso. Il genere umano, dopo di noi, sarà alle prese con quello che stiamo affrontando noi adesso. Prima di Cristo gli uomini non sono riusciti a risolvere il problema del dolore e, in specie, il dolore dell’innocente perché nella loro storia era assente l’evento della Redenzione.
Gesù ha redento la condizione umana ed ha aperto delle possibilità, impensabili per la ragione ma augurabili e attese dal cuore. Il cuore dell’uomo è più lungimirante e veloce della ragione nel dare forma al contenuto della felicità.
Non dobbiamo perdonare Dio perché Dio non ha nulla di cui o su cui farsi perdonare. Dobbiamo solo invocarlo da figli perché continui a fermare il suo sguardo misericordioso su di noi. Dobbiamo stare in ascolto della sua Parola e dei suoi segnali per capire sempre di più il contenuto del suo disegno che mira al Bene della creatura spesso miope, pretenziosa, impaziente e superficiale. La verità delle cose la si capisce solo nel tempo.
L’esperienza raccontataci da Giuseppe è profetica e pedagogica. Ci indica la strada che educa a stare in ascolto di Dio in una compagnia umana dentro cui e attraverso cui Egli ci parla e ci apre il cuore alla comprensione del significato più profondo delle cose. Al di fuori della rivelazione cristiana parole come “persona, misericordia, perdono e vita nuova” non esisterebbero.
E’ umano trovarsi in certi momenti nella condizione descrittaci da Elena. E’ umano provare insicurezza per la mancanza di un porto sicuro. E’ umano sentire disappunto, smarrimento o ribellione per la perdita non di qualcosa ma di un figlio.Ma questo accade perché ci si ferma davanti ad una tessera del mosaico della vita e non a tutto il mosaico. E’ la visione d’insieme che illumina e aiuta a capire, non la considerazione di un aspetto isolato.
Non dimentichiamo poi che il male ha fatto irruzione nella storia non per l’assenza dell’amore di Dio nei confronti dell’uomo ma per la disobbedienza dell’uomo, per la sua mancanza di fede e per il cattivo uso della sua libertà. Dio non è l’artefice del male e della morte, bensì il Maligno, da sempre nemico dell’uomo, padre della menzogna e omicida.
Dio ha fatto l’uomo per la vita. L’uomo viveva un rapporto paradisiaco con Lui. Non aveva la percezione del male e non conosceva la fatica e l’esperienza del morire. Viveva la libertà come risposta di amore, cioè come attrattiva e obbedienza gioiosa a Lui che gli aveva svelato il segreto dell’immortalità. Ma poi l’uomo ha rotto tutto e noi subiamo le conseguenze del peccato dell’origine. Gesù ha ricomposto l’armonia della comunione con Dio, con gli altri e la realtà ma ha promesso la pienezza non nel presente ma nell’al di là.
Dio permette il male in una prospettiva di bene finale (Destino). Il Destino conclude il percorso della vita, non un solo frammento. L’ascolto di Cristo e lo sguardo su di Lui dentro la compagnia ecclesiale, che per molti di noi ha il volto di Famiglie in Cammino, ci rende creature capaci di giudizio vero e di speranza.
Stando con chi ha affrontato prima di noi certe battaglie uscendone vittorioso ci si accorge che la vita viene rivitalizzata e, nel tempo, ridona gusto e speranza. Il metodo pedagogico è di radicarsi in un’amicizia generata da un incontro non preparato da me ma dall’amore provvidente di Dio che ha permesso la prova in vista di un bene più grande che non ci è dato di conoscere subito.
Mi auguro che tale strada sia seguita da tutti. Molti la stanno già vantaggiosamente percorrendo.
Chi si fermerà alla Messa potrà prelevare la scheda biografica di una ragazzina cilena, la beata Laura Vicuna della cui morte ricorre il centenario. Da piccola era rimasta orfana di padre. La mamma, non avendo mezzi per mantenerla, l’aveva messa in un collegio di religiose e si era concessa a un uomo molto ricco ma corrotto che l’aveva allontanata dalle sue radici cristiane. Laura, accortasi del cambiamento, ne soffriva moltissimo.Dai 5 ai 12 anni (data della sua morte per tubercolosi) ha pregato e offerto la sua vita per la conversione della madre. La madre riavvicinatasi alla figlia negli ultimi anni di malattia, lascia quell’uomo e ha fatto della sua bambina il fondamento del rinnovamento della sua vita.
Facciamo sì che i figli persi diventino motivo di rinnovamento e non di disperazione.

Lina Barassi (Vergiate) Vorrei leggervi una poesia dal titolo: La mia felicità.


Pausa di convivenza

Don Giancarlo. Chi si lascia attirare dai bagliori del vero, diventa buono oltre che più intelligente nel cogliere il positivo. Il positivo non è mai allo stato puro. Per la condizione storica segnata dal peccato originale, è sempre mescolato e velato da altri fattori negativi.
Nei vangeli apocrifi si legge che Gesù, un giorno, camminava con i suoi discepoli lungo un sentiero. Ad un tratto essi sentendo un puzzo irrespirabile, vorrebbero cambiare strada per evitargli la visione di una carcassa di cane in decomposizione. Gesù invece vi si avvicina e fa notare a loro la bellezza dei suoi denti. Il suo sguardo, a differenza di quello dei discepoli, sapeva identificare il positivo.

Leggiamo adesso alcuni passaggi del secondo capitolo del testo di scuola di comunità “Il miracolo dell’ospitalità” Ci danno la chiave di lettura per mettere insieme i frammenti della nostra vita alla luce del disegno di Dio.impazziti o non ancora riordinati

Rose, un’infermiera ugandese, racconta: “Mentre mi recavo da Eugenia, passando per l’ambulatorio, vidi qualcosa sotto il tavolo, come un corpo senza vita. Mi piegai, mentre un’infermiera diceva: “Lascia stare, è un uomo che cammina a quattro gambe. Guarda i suoi moncherini e i suoi piedi.” Era già notte. Il lebbroso era partito alle 7 di quel mattino, aveva impiegato 3 ore a percorrere il chilometro che lo separava dall’ospedale. Era ammalato di dissenteria e aveva chiesto di essere curato. Non aveva pagato la tassa richiesta. Era debole e depresso e diceva:”Potessi morire ora! Che senso ha per me vivere?”. Io non avevo un soldo per aiutarlo, ma presi un formulario presso un’infermiera. Posi il lebbroso su una carrozzella e mi avviai decisa verso il medico di guardia. Anche il medico gridò dapprima verso di me, poi mi chiese: “Che male ha il vecchio, è tuo parente?”. Allora parlai e il medico mi domandò se ero una suora, risposi: ”No, sono cristiana della chiesa cattolica.” Desideravo avere vicino una compagnia, perché non sapevo come fare col vecchio lebbroso. Anche le mie amiche infermiere mi deridevano, invece di aiutarmi. Andai in cucina a chiedere il cibo per il malato e mi risposero che se volevo dare cibo dovevo rinunciare alla mia cena. Ero molto affamata e non mi sentivo di stare a digiuno, ma non c’era via d’uscita. Diedi il mio piatto al lebbroso che aveva molta fame. Le infermiere mi chiesero: “E ora userà il tuo piatto?” “Certo”, risposi. Portai l’ammalato nell’angolo di una stanza, gli diedi la mia coperta e il mio pullover ed egli si addormentò in pace. Al mattino incontrai il medico che andava a visitare il lebbroso e mi disse “Prega per me.”
E’ la conferma di quanto detto prima circa la verità del legame fra noi creature e Dio. E’ chiamato Dio ciò che trascende l’esistente. Per noi Cristiani Dio non è il Mistero impersonale e inavvicinabile dei filosofi ma il Padre buono. Continuiamo a pregarlo, ad ascoltarlo e ad amarlo in questa luce di provvidenza paterna.

Il grande romanziere russo Solov’ev, nel racconto dell’anticristo, illustra la condizione di minoranza in cui si erano venuti a trovare i cristiani perseguitati ed emarginati. In un passo suggestivo racconta la seduta del processo che avrebbe emanato la sentenza su di loro.
L’imperatore si rivolse a loro dicendo:”Che cosa posso fare ancora per voi, strani uomin; che volete da me? Io non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani, abbandonati dalla maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento popolare. Che cosa avete di più caro nel cristianesimo?” Allora, simile a un cero candido, si alzò in piedi lo staret Giovanni e rispose con dolcezza:” Grande sovrano, quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo, è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacché noi sappiamo che in lui dimora corporalmente la pienezza della divinità.”
Noi siamo quegli strani uomini che stanno imparando a guardare la realtà, anche quella sfigurata per la morte di un figlio per trovare in essa il positivo. Non siamo maestri, siamo discepoli che, guardando a Cristo rivelatore dell’amore di Dio, vogliono imparare a scorgere qualcosa di caro anche nelle contraddizioni. Attraverso gli occhi e il cuore di Gesù siamo sicuri di arrivare a vedere il positivo dappertutto.
Impariamo perciò ad alzare lo sguardo, a entrare con tutta l’anima dentro la grande memoria di Cristo. Alzare lo sguardo è un’esperienza di entusiasmo per Cristo e per la missione che Lui ci ha affidato: essere portatori di speranza. Nell’alzare lo sguardo Cristo ci farà compagnia e potremo così abbracciare la realtà intera.
Il testo ci dice:” Il rapporto con Cristo non può che passare attraverso la modalità concreta di una storia, dentro la quale Lui si è manifestato persuasivamente, pedagogicamente, suscitando capacità creativa. Senza passare attraverso le modalità concrete e storiche attraverso le quali Cristo si è manifestato e si è incontrato con noi,magari di sfuggita,ma persuasivamente, noi perseguiamo una nostra immagine di Cristo. Allora ci mondanizziamo diventando come tutti. Ciò che dà spessore al nostro io è l’appartenere, è camminare con quelle persone che sono un segno persuasivo, rinfrancante per il cambiamento di mentalità”.

Natale Colombo. Queste riunioni sono una benedizione. Ringraziamone Dio. Un saluto a tutti voi e buon rientro a casa.
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