famiglieincammino.org

  • Full Screen
  • Wide Screen
  • Narrow Screen
  • Increase font size
  • Default font size
  • Decrease font size

Ottobre: Intervento a Radio Mater

E-mail Stampa PDF
RIFLESSIONE DI GIUSEPPE FORAME – Ottobre 2002

Io credo che il più grande peccato dell’ uomo moderno sia quello di credere di “bastare” a se stesso!
E così si pensa che le cose che si fanno e le mete che si raggiungono siano solo merito personale.
Alla fine ci si riduce a credere che Dio non serva alla vita dell’ uomo. Di Lui se ne può fare tranquillamente a meno. Basta essere onesti e seguire le regole dominanti in un dato contesto sociale per sentirsi a posto con la propria coscienza e con gli altri.

All’ improvviso, quattro anni or sono, il 13 marzo del 1998 una telefonata nel cuore della notte ha polverizzato tutte le mie certezze: “…Suo figlio si chiama Matteo?”. “Sì!”. “Purtroppo ha avuto un incidente ed è morto.”
“Morto” è una parola che non esisteva nel mio vocabolario, nei miei pensieri e non faceva parte dei miei programmi. L’ atrocità della perdita di Matteo e il mio smarrimento, hanno letteralmente fatto a brandelli il mio mondo insieme al mio cuore e hanno tolto ogni riflesso di speranza alla mia vita e a quella di mia moglie Tina.
Ma, proprio nel momento in cui realizzavo la nullità della mia esistenza, ho avuto l’ intuizione che il mio unico figlio Matteo non era là dove lo vedevano i miei occhi sul freddo tavolo dell’ obitorio ma in un altro mondo dove il mio cuore lo collocava. Matteo non era solo l’ involucro di carne che lo ricopriva, ma anche il suo carattere, il suo amore per le cose belle, la sua generosità, il suo amore per la vita.
La sua anima non cessava di esistere solo perché il suo tempo biologico era terminato.
Tutto ciò esisteva ancora e non poteva morire con lui!
Tale percezione contrastava però con il mio razionalismo. L’ alternarsi di sentimenti di rabbia, di disperazione e di relativa consolazione hanno dimorato in me per molto tempo e mi hanno spinto a chiedere aiuto ad Altro da me, a Colui che credevo non servisse, Dio.
Da quattro anni la preghiera che quotidianamente rivolgo al Signore è sempre la stessa: “dammi la speranza, la forza ed il coraggio…”. Il Signore ha ascoltato questo mio grido e mi ha fatto incontrare nel volto di altri la sua, la mia sofferenza e anche la strada della speranza.
Sono stati i volti degli amici di Famiglie in Cammino, la loro amicizia e il loro esempio a darmi la scossa vitale che mi mancava. Incontrare persone che avevano provato sulla loro pelle i miei stessi patimenti e che parlavano di speranza con il sorriso sul volto era per me incomprensibile e, nello stesso tempo, magnetico.
La nascita di una sincera amicizia tra di noi ha messo le basi all’ incontro con Colui che dà la vera speranza e illumina la notte buia nella quale mi dibattevo: nostro Signore Gesù Cristo.
La speranza che, quotidianamente, chiedevo con ansia trovava così la sua realizzazione nella Fede in Cristo. Paradossalmente erano proprio il dolore e la sofferenza a darmi il coraggio e la forza per vivere ogni giorno.
Vivere la speranza cristiana in tutte le cose che si fanno, il rapportarsi a Lui e il partecipare alle sofferenze degli altri come “compimento ai patimenti di Cristo”, hanno incominciato a dare il loro vero significato alla mia presenza su questa terra.
Le risposte ai “perché” razionalistici, con il tempo, hanno perso di significato a favore dei “perché” del cuore. Le parole del Padre Nostro “sia fatta la tua volontà in cielo e in terra”, impronunciabili sino a poco tempo prima, sono diventate non l’ accettazione passiva di quanto era accaduto ma il riconoscimento di un disegno più grande del mio e di un amore senza confini che illumina il mistero dell’ uomo.
In tale ottica l’ accettazione del dolore è diventata forza preziosa di rinnovamento da donare agli altri. Il dolore ha cominciato a far parte della mia vita, connesso con le gioie del passato e con la speranza viva di riabbracciare mio figlio nella gloria di Cristo.
“Non si possono mai perdere coloro che si amano perché possimo amarli in Colui che non si può perdere”. In questa frase di S. Agostino è affermata la continuità della vita perché Dio c’è, è presente nelle circostanze della vita dopo la sua incarnazione in Cristo e ci sarà sempre.
Il suo amore eterno, divenuto tangibile nella sofferenza della Croce (simbolo di tutte le sofferenze umane) e nella Risurrezione, è fondamento della nostra SPERANZA.

You are here: Testimonianze Anno 2002 Ottobre: Intervento a Radio Mater