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Giugno: Pellegrinaggio Sacro Monte di Varese

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PELLEGRINAGGIO AL SACRO MONTE DI VARESE.
Giugno 2002


Don Giancarlo. Questo che stiamo compiendo è un gesto da pellegrini e non una scarpinata ecologica. Che cosa qualifica la fisionomia del pellegrino? Che cosa contraddistingue il suo cuore rispetto a quello del turista? Il libro della Genesi ci fa conoscere la figura di Abramo che, di fronte all’invito “esci dalla tua terra e va dove ti mostrerò” da nomade è diventato pellegrino. Il nomade, non necessariamente è uomo “viator”, cioè un pellegrino. Ciò che caratterizza il cuore dell’uomo in cammino non sono i chilometri o la strada più o meno impervia ma il desiderio del Tutto.

Pellegrino è colui che lascia alle spalle i contesti effimeri e si inoltra nella prospettiva della totalità e non della globalità. Quest’ultima, ci ricordava Don Giussani, è l’insieme di tanti frammenti e di tanti particolari che non hanno un radicamento nella coscienza della persona. La globalizzazione infatti è un fenomeno che trasforma il nostro pianeta in un villaggio all’interno del quale le popolazioni diventano interdipendenti. , non si sa se per logica di solidarietà o di profitto. Il cuore dell’uomo in cammino tende al tutto. Il Tutto è l’Infinito. Il Tutto è la nostra origine e la nostra meta ultima. E’ il Mistero che, da 2000 anni si è dato un volto di uomo ed è diventato una presenza che ci mette insieme e ci accompagna. Ad essa noi vogliamo aderire.
Questa strada è una via sacra; non un sentiero ecologico. E’ sacra perché porta all’incontro con il segno del sacro; il Santuario della Madonna che ha immortalato nella pietra l’epifania del Mistero attraverso l’apparizione di Maria. Prima di metterci in cammino voglio ricordarvi due aspetti dell’antropologia cristiana:

- la coscienza di essere peccatori. Noi sentiamo il peso del limite strutturale, fisico e morale. Non può fare finta di niente e tale disagio non può essere rimosso. E’ un peso da portare e una croce da offrire.
Tanti di noi, oggi, soprattutto i meno allenati o i meno giovani, sentiranno anche il peso fisico della salita. E’ una componente da accogliere, da vagliare dentro un giudizio di offerta e di espiazione. Il pellegrino è un uomo che accetta di espiare e di riparare il male di cui si sente colpevole e il male che vive nella Chiesa e nel mondo.

- La speranza. Facciamo vibrare il nostro cuore, nella speranza! La speranza vive di attesa e si esprime come domanda. L’attesa di oggi è che il pellegrinaggio possa coincidere con l’incontro col Signore che ci ricuperi, ci liberi e ci renda partecipi della sua vita.
Adesso saliamo pregando e mantenendo il silenzio.

Canto. Esci dalla tua terra e va’ dove ti mostrerò…… sempre con te sarò

Dio ha proposto al suo popolo un itinerario di maturazione. La vicenda salvifica non incomincia mai con il dolore ma con la gioia. Anche questa via sacra incomincia con le cappelle dei misteri gaudiosi, poi con quelli dolorosi e infine con quelli della gloria, l’esplosione della vittoria, il centuplo quaggiù e la pienezza totale.

Inizio della salita

Sosta - Leggeremo un brano dell’Apocalisse che è frutto dell’esperienza mistica di Giovanni, l’amico e discepolo prediletto di Gesù. In questo libro è contenuto un giudizio sulle Chiese del primo secolo che evidenziavano al loro interno i limiti e le contraddizioni di tutte le comunità ecclesiali. Ma insieme al giudizio storico sulle Chiese del primo secolo, il libro contiene anche riflessioni riguardanti l’oggi e il futuro eterno.
Attraverso un linguaggio letterario particolare Giovanni illustra alcuni aspetti del destino verso cui ogni uomo è incamminato e che si concluderà con il giudizio universale.


Vidi poi l’agnello aprire il primo dei sette sigilli…

La scena ha come soggetto centrale e dominante l’agnello che è simbolo di Cristo. L’agnello toglie i peccati del mondo attraverso lo spargimento del sangue. Alcuni messaggeri (angeli), a turno e con comparse imprevedibili, si rivolgono ai presenti dopo avere sigillato il libro della vita e gridano loro : “Vieni, vieni, vieni”.
Che cosa ci ricorda la parola “ vieni”. Ci ricorda che nella storia ci sono persone che per amore e amicizia continuano a ricordare ad altri che il significato ultimo del vivere è una Presenza e non una idea: è l’Agnello che siede sul trono ed apre i sigilli.
Ci ricorda in oltre che gli uomini sono degli incompiuti permanenti.
La vita è l’Incompiuta che Bethoven, da genio inimitabile, ha tradotto in note commoventi e catturanti per la loro drammaticità e tensione. Il “vieni” degli angeli aiuta a fare memoria del nostro limite. L’uomo si porta dentro la nostalgia di qualcosa che gli spetta e che lo vede impotente. Tale coscienza rende l’uomo immerso in una solitudine che nessuno riesce a colmare. Nessuno, neanche il marito o la moglie, tanto meno i figli o il successo. Ed è una solitudine che rende il cuore inquieto.
Vieni perché sei incompleto, e inadeguato nelle svolte decisive della vita. Uomo, tu sei pieno di contraddizioni. Non bloccarti! Non spaventarti! Vieni.
L’angelo che cosa ci addita? Una possibilità legata all’Agnello che ha lavato tutto nel suo sangue e ha rinnovato i cuori e la faccia della terra.
Nel finale questo Agnello diventa la Presenza santa che rinnova e giudica. Gesù è una Presenza che incombe e accompagna. Vi ricordate come Caino cercava di fuggire senza mai riuscirvi! Ebbene sul contenuto di questo “Vieni” che ci ricorda la nostra incompiutezza, don Giussani, ad un certo punto, dice: La parola italiana che racchiude un’esperienza adeguata al “Vieni” è la parola santità. La santità è il contenuto del cammino di conversione proposto all’uomo e che il Papa, nell’ enciclica tertio Millennio ineunte, addita come itinerario pastorale a tutta la Chiesa.
Ma il “Vieni” che l’Agnello rivolge a noi può diventare il grido che sale a Dio dal nostro cuore “ Vieni a me che sono fragile, debole e non ce la faccio a seguirti. Vieni in mio soccorso, affrettati, non tardare! Vieni Signore Gesù. Tu che sei il Santo, il Salvatore, Tu che sei Tutto, Tu che mi conosci più di quanto io conosca me, prendimi con Te, rigenerami. Sii al mio fianco sempre.” Questo grido divenga il contenuto della nostra preghiera mentre continueremo a salire. Mettiamo nelle Sue mani tutte le nostre miserie ed i nostri lati positivi soprattutto le attese, le speranze, i tentativi in corso ed i propositi di rinnovamento.

Sosta con S. Messa sul piazzale sottostante il Mosè.

Omelia: gli amici presenti di Famiglie in Cammino si sono già imbattuti nel capitolo di scuola di comunità che tratta della santità. Il testo, citando una frase biblica, afferma che “Il mondo ha bisogno di vedere lo spettacolo della santità”.
Il Santo non è l'eroe o il superman ma colui che porta in sé la coscienza di essere stato messo al mondo da una Presenza che lo ha amato e lo sta amando in modo unico; una Presenza capace di tutto. Il Santo è il frutto del miracolo del cambiamento. S. Paolo scriveva: Noi siamo resi spettacolo agli angeli, al mondo e a noi stessi. L’umanità deve incontrare una Chiesa, luogo di santità e compagnia di uomini definita dalla coscienza di sentirsi amata e continuamente ricuperata alla purezza originaria del Battesimo. Solo così la Chiesa diventerà lumen gentium, cioè luce, strada, significato, luogo di speranza, lievito che fa fermentare le attese o le potenzialità di bene del cuore umano.


Ma qual’è la strada per diventare santi? Ciascuno ha la sua; un punto fermo, però, deve essere comune a tutti: partire da Cristo.
Partire dall’uno e non dal molteplice. Noi siamo figli del molteplice. Siamo gli inseguitori più incalliti della varietà e degli aspetti effimeri della vita. Chi parte dal molteplice non può arrivare all’Uno. Chi parte dall’Uno può attraversare il molteplice senza disturbo. L’Uno è Cristo che è adeguato ad ogni situazione: “Io sono il Tutto; sono la verità , la strada, la resurrezione, sono il pane disceso dal cielo; senza di me non potete fare nulla”. Il rapporto con lui si chiama Fede, relazione di abbandono e di sequela. Su un libretto del Medio Evo che per secoli ha fatto scuola, l’imitazione di Cristo, si dice: “Da una sola parola, tutto. Una sola cosa tutto grida. Questo è anche il principio che parla in ognuno di noi”.
Il problema è ricordarlo. Abbiamo bisogno di questo Uno che ci unifichi mentre siamo alle prese con il molteplice. Noi non riusciamo a scappare dal molteplice perché le circostanze della giornata, non siamo noi a progettarle. Un suggerimento ascetico ci viene dalla sapienza della Chiesa: “…moltiplica i momenti di memoria dell’Uno sul quale ed in forza del quale fare unità in te e nel lavoro che svolgi. Si chiamano momenti di memoria, di silenzio. Memoria è il far silenzio perché l’Unico si imponga, mi guardi ed io mi senta guardato da Lui negli occhi del cuore, nella profondità del mio io”.
Ciò permette di star dentro la quotidianità con il senso dell’avventura.
L’avventuriero è la figura ideale che mira alla conquista del tutto. Qual’ è la sua nota caratteristica? Quella di scrutare i segni positivi presenti nella realtà. Ascoltate questa bella preghiera formulata da don Giussani: “Fà o Dio che una positività totale guidi il mio cammino in qualsiasi condizione mi trovi, qualsiasi rimorso abbia, qualunque ingiustizia senta pesare su di me, qualunque oscurità mi circondi, qualunque inimicizia, qualunque morte mi assalga perché Tu che hai fatto tutti gli esseri sei per il bene, Tu sei l’ipotesi positiva su tutto ciò che io vivo e mi accade”.
Il Santo porta in sé la fisionomia dell’uomo nuovo nato dal Battesimo. Egli vive con nel cuore una certezza che dà letizia. “Canterò per sempre la tua misericordia, o Signore”
Il Santo non è l’uomo autosufficiente, l’uomo che si fa da sé o che crede di farcela con le sue risorse, la sua progettualità e la tenacia dei suoi sforzi. Costui al contrario è l’alternativa del Santo.
Purtroppo le ideologie preminenti del secolo passato hanno dato la ribalta ai personaggi di tale stampo che hanno ammazzato milioni di persone con i lager, i gulag, le guerre mondiali, i genocidi e le emigrazioni forzate. Costoro sono partiti non dall’ uomo reale ma da quello ideologizzato. Quando l’uomo ideologizza la realtà la sua vita tende a disumanizzarsi. Sono sicuro che molti di voi hanno a che fare con gente siffatta. L’uomo che non parte dalla realtà forza i rapporti, forza tutto fino alla devastazione. Noi abbiamo pregato come uomini che partono dalla realtà del loro io bisognoso di redenzione e che vivono la certezza della misericordia di Dio.
Noi ci affidiamo a Te, o Signore, perché Tu sei tutto e puoi tutto. “Chi rimane in me ed io in lui porta molto frutto”. Tu ci hai scelti e ci mandi nel mondo come testimoni di santità, del cambiamento che ci ha reso più veri, più buoni, più liberi e più lieti. Noi come tutti siamo degli incompiuti che ascoltano l’invito dell’angelo “Vieni” ed a loro volta invocano il Signore Gesù chiedendogli di venire in noi come Salvatore.
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