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Novembre: incontro mensile

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INCONTRO DI FAMIGLIE IN CAMMINO
NOVEMBRE 2001

Natale Colombo. (Usmate). A nome mio e di tutta la Fraternità, porgo un saluto a tutti i presenti. Invito le persone nuove a raccontare la loro storia (se lo desiderano). Anche oggi siamo molto numerosi. Dai discorsi fatti con alcuni di voi mi rendo sempre più conto dell’importanza del nostro ritrovarci. Introduciamo l’incontro con uno dei nostri canti e con la nostra preghiera.

Povera voce
Pon tus manos en la mano del Señor de Galilea
Tu che adesso vedi senza ombre…

Fausto Benzi (Cuggiono). Vi voglio rendere partecipi di una gioia personale. Stamattina ho incontrato alla S. Messa la nostra amica ceramista che ci fa omaggio di un piatto artistico su “Famiglie in cammino”. Lo potete ammirare sul tavolino. Mi ha spiegato che ha cercato di fondere tre elementi importanti: la terra, l'acqua e il fuoco. In questo periodo ha perso la mamma. Probabilmente tale prova l'ha portata ancora più vicina alla nostra realtà. Quando le ho parlato di Famiglie in cammino ho colto in lei grande attenzione. Chiede di essere ricordata nelle nostre preghiere. Gliel’ho garantito invitandola a fare altrettanto per noi.

Don Giancarlo. Sabato 10 novembre, una cinquantina di noi sono venuti nel quartiere S. Anna di Busto in occasione della visita del Cardinale Carlo Maria Martini per il venticinquesimo anniversario di consacrazione della Chiesa parrocchiale. Il Cardinale durante l’omelia ha rivolto un pensiero anche a Famiglie in cammino: "So che, di fronte alla Croce, vengono poste anche le sofferenze di coloro che fanno parte di Famiglie in cammino. Davanti al Crocifisso di cui non tutti purtroppo comprendono il significato siamo richiamati a comprendere il valore salvifico e missionario del mistero della sofferenza”.
Parole densissime che prendono l'avvio da una constatazione: non a tutti è dato di riconoscere il significato salvifico ed educativo della sofferenza in quanto tale comprensione è grazia, è dono. Nella stessa famiglia a un coniuge è dato di capire di più, a un altro di meno; oppure a nessuno dei due è dato di riconoscere o di vivere la pace dentro la sofferenza illuminata dal significato attribuitole da Cristo che la fa accettare e offrire perchè serva agli interessati, alla Chiesa e al genere umano. Non dimentichiamo quello che Paolo nella lettera ai Romani dice: "Compio nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo per amore del suo corpo che è la Chiesa". Vale a dire, a livello esistenziale, completo quello che dell'evento della Redenzione non si è ancora compiuto. Non perchè manchi qualcosa al dono che Cristo ha fatto della sua vita. Lì c'è tutto. Quello che manca è la manifestazione e l'incidenza trasformante dell’evento salvifico di Cristo.
Anche Paolo, dopo la folgorazione di Damasco, capisce di dovere completare in sè una potenzialità che fino a quel momento gli era sfuggita. Adesso la sente e la vive perchè la riconosce come dono; la vive per amore del corpo di Cristo che è la Chiesa, cioè tutti noi.
Alcune sere fa ho iniziato a incontrare le famiglie per la benedizione natalizia. Entrando in una famiglia composta da due genitori anziani ho conosciuto uno dei loro figli di 35 anni separato dalla moglie e ritornato in casa. I genitori mi hanno accolto molto bene. Questo personaggio invece, ostentando indifferenza, è rimasto in poltrona. Ho tentato di intavolare con lui un dialogo. Mi sono trovato aggredito da uno sproloquio contro i preti, parassiti della società che bisognerebbe impiccare: un florilegio indescrivibile… Ho tentato inutilmente di fermare la sua furia verbale. Allora ho spostato il discorso sui genitori che stimo e sulla sua arroganza. Gli ho persino detto che non era degno di stare in quella casa accanto a dei genitori che avevano faticato molto per dargli un’educazione. Quel riferimento è risultato imprevedibilmente il suo tallone d'Achille. Ha ammesso la sua maleducazione e ha chiesto scusa. Uscendo, mi sono però reso conto che, nel match verbale, ad un certo punto, il desiderio del dialogo era venuto meno e, al suo posto, erano subentrati il risentimento e la rabbia.
Quando si smette di essere aperti al vero il dialogo diventa impossibile.
Ho fatto questo esempio per sottolineare che non a tutti è dato riconoscere quanto il Cardinale ha ribadito circa il valore salvifico e missionario del mistero della Croce e della sofferenza. A tanti dei presenti è già stato dato. Il test è la trasformazione del cuore. Ad altri è offerto uno spiraglio.
Quello che è dato a noi è per tutti. Ogni dono ha in sè la caratteristica del compito. Un dono è dato non per essere posseduto e consumato ma per essere partecipato e donato ad altri, a tutti quelli che si imbattono in noi.
Tempo fa, dalle labbra di un sacerdote, amico e maestro, ho ascoltato questa frase: "Ricordatevi che noi non ci apparteniamo. Siamo di coloro che il Signore ci fa incontrare. Il dono che siamo va partecipato, senza calcoli, a tutti quelli che si imbattono in noi”.
Attualmente stiamo meditando sulla preghiera. Il Papa, nella lettera sul 3° millennio, dice: “Man mano la si vive per farla diventare dimensione naturale dell'io, la preghiera diventa l'espressione più artistica e più geniale dell'umano. E’ lo strumento per diventare Santi”.
Santo non è l'uomo impeccabile e coerente. Santo è l'uomo vero, in quanto partecipe della vita di Gesù. La preghiera è uno strumento che, una volta affinato e assimilato, è paragonabile a una espressione artistica. Dio ci ha mandato Gesù perché, nella sua umanità, desse un esempio guardando il quale l'uomo possa dire: “Vivere così è proprio una cosa bella! Piacerebbe anche a me! Peccato che non ce la faccio!”.
La preghiera non è dei bigotti. Prega chi è uomo e vuol diventare sempre più umano. Nessuno è salvatore di se stesso. C’è bisogno di un altro che ci liberi dal male perchè noi siamo capaci di fare il male ma non di risollevarci da esso.
La preghiera è l'espressione dell'uomo che vive la consapevolezza di essere creatura dipendente e appartenente a Dio che lo ama. Don Giussani ci dice che l'uomo, attraverso l'esercizio della preghiera, impara la dimensione comunitaria della vita. La preghiera è sempre espressione della persona.
Il concetto di persona è diverso dal concetto di individuo. Il concetto di persona racchiude in sè l'originalità, l'unicità e l'irriducibilità del singolo che però appartiene a una storia che lo precede.
Il singolo è un individuo non autonomo e autosufficiente bensì dipendente e appartenente a una realtà comunionale e fraterna.
L'io in rapporto al tu di Dio diventa un noi. Ad esempio i figli sono la proiezione dell'io e del tu dei genitori. Senza comunione tra un io e un tu non ci sarebbe famiglia, non esisterebbe il noi. Istintivamente noi sentiamo la preghiera comunitaria come una limitazione. Molte volte la subiamo come mortificazione anzichè viverla come esaltazione del nostro io. La preghiera comunionalmente intesa fa invece esprimere l'io al massimo delle sue possibilità.
La collettività non nasce mai dalla decisione libera dell'io perchè è esterna all'io. L’espressione normale della collettività è la legge. Di fronte al collettivo l'uomo sì che si sente diminuito. Accetta la diminuzione perchè non ne può fare a meno (Alla ricerca del volto umano, pag. 148 e 149).

Fausto Benzi (Cuggiono). Ho letto e riletto le pagine di Don Giussani sulla preghiera e sullo spirito comunitario. Senza che me ne sia reso conto il mio essere nella Chiesa spesso era dettato da un criterio che mi si imponeva dall'esterno. Essendo cresciuto in una famiglia cristiana capivo che, per acquistare il Paradiso, dovevo accettare alcuni precetti.


La preghiera che facevo, salvo in alcuni casi particolari, era vissuta principalmente come un dovere.
La Fraternità mi ha consentito di fare esperienza nella comunione dei santi. La mia personalità cristiana è diventata più consapevole e mi ha permesso di sviluppare la virtù della carità facendo esperienza del perdono. Per me oggi, pregare Cristo, è abbracciare questa dimensione comunitaria e abbracciare e perdonare tutti gli uomini.
Cristo sulla Croce ha incluso nel suo gesto d'amore anche i suoi uccisori. Il perdono per me è diventato il criterio ispirante la mia preghiera. Oggi, prima domenica d'Avvento, la liturgia ci ha ricordato che Gesù vuole realizzare in noi una conversione di cuore più profonda che ci consenta di sperimentare quotidianamente quel centuplo che Gesù ci ha promesso nell'attesa della sua venuta.

Anna Rimoldi (Busto A.) Leggendo il testo di Don Giussani nel capitolo propostoci per questo mese sul tema della preghiera mi sono lasciata molto attrarre dalle ultime righe nelle quali si afferma che la clausura nella vita delle comunità ecclesiali è paradigma e richiamo allo spazio amoroso e cattolico che dovrebbe costituire la "dimensione" della vita quotidiana fatta di azioni minute che ogni cristiano compie in qualunque situazione egli si venga a trovare.
La clausura esercita un fascino molto forte su di me. Questa lettura è stato motivo per ripescare qualcosa che lavora, da tempo, dentro di me. Credo di aver colto quello che, secondo me, era il richiamo fondamentale di Don Giussani: “la nostra consegna totale al Signore”. I monaci e le suore di clausura fondamentalmente vivono questa dimensione nella loro vita. Diversamente cresce la pretesa nei confronti del marito, del lavoro della salute e del tempo che non basta mai. Se lascio che la preghiera diventi la misura di tutte le cose esco dalla condizione della pretesa per entrare in una dimensione più rappacificata. La prospettiva con cui guardiamo alla nostra vita e in particolare al mistero del dolore la lego ad un fatto accadutomi. D’inverno, quando esco alle 13 da scuola, passo al cimitero dove trovo la tomba della mia bambina su cui c’è sua fotografia. E’ una maiolica colorata, poggiata su un cristallo. Con il freddo, la brina, a volte, forma degli arabeschi bellissimi. Allora mi interrogo chiedendomi a cosa devo credere: a ciò che vedo o a ciò che mi è stato promesso. Mi rispondo con una frase che ho letto nella lettera dei Colossesi: "la realtà, invece, è Cristo" non quello che vedo, anche se quello che vedo mi avvolge tutta e mi farebbe aderire soltanto a esso. Se aderissi a quel gelo che ho davanti, mi annullerei come persona. Per poter continuare a credere nella vita e nei nostri figli si rende necessario aderire alla realtà di Cristo.

Giorgio Targa (Milano) Oggi abbiamo accompagnato all’incontro una nosta amica. Francesca ha perso il suo unico figlio di 19 anni circa due mesi fa in un incidente d'auto. Il semaforo è una legge civile che dovrebbe essere rispettata da tutti: invece, lui ha attraversato con il verde ma un altro lo ha fatto con il rosso. Suo figlio era alla guida ed è stato centrato sulla sinistra. E’ entrato subito in coma e la mattina seguente è morto. Francesca è separata dal marito e vive sola. Mentre venivamo qui in auto lei gridava il suo dolore.
All’inizio la nostra preghiera non può essere che un grido di dolore.
Non riusciamo a capire perchè Dio ha voluto questo per la nostra vita. Anche dopo qualche mese la nostra preghiera è ancora solo un gemito. Siamo genitori che soffrono per lo strappo. Però se noi affidiamo la nostra vita al Signore e al suo disegno di salvezza ci accorgiama che il Signore a poco a poco ci dà una mano. Quando la croce di dolore diventa una croce di salvezza è perché allora la vediamo nella luce della Resurrezione. Così ci accorgiamo che la nostra vita continua ad avere significato e non ci trasciniamo più nel dolore ma possiamo ancora vedere le cose buone intorno a noi e guardare agli altri comunicando con loro. Con gli amici di “ famiglie in cammino” ci siamo resi conto che il nostro dolore non poteva essere solo per noi ma un cammino di salvezza per tutti..
In ottemperanza a quello che dice San Paolo: "Nessuno viva solo per sè stesso" avevamo il compito di comunicare ad altri l'aiuto che il Signore ci ha donato. Ringraziamo il gruppo perchè abbiamo potuto dare, man mano che il tempo passava, un altro significato alla preghiera. Siamo qui non perchè noi l'abbiamo voluto ma perchè il Signore, nel suo incommensurabile mistero, l'ha voluto. Ci ha però dato la grazia di percorrere insieme un cammino di fede e di pregare nella memoria dei nostri figli sapendo che loro sono con noi e ci aiutano. Per noi il significato di preghiera comunitaria è molto profondo perchè partiamo da un dramma che ci unisce tutti e ci pone su di uno stesso piano, indipendentemente dalla cultura, dall'età o dalla storia. Siamo genitori che attraverso la preghiera vogliono riscostruire la propria vita. Desideriamo anche accogliere altri genitori e preghiamo il Signore che ci dia il coraggio e la serenità per testimoniare agli altri il Suo aiuto: questa è la fede adulta di cui parlava prima Anna.

Gino Varrà (Milano) Vi porto i saluti di Maria Rosa che non ha potuto partecipare all’incontro in quanto si è infortunata salendo i gradini della metropolitana. E' molto dispiaciuta di non partecipare alla nostra assemblea. Da soli è più facile cedere alla tristezza. I volti delle persone amiche, il cammino di fede che ci accomuna, ci portano dentro a un'altra dimensione e così anche la perdita dei figli può essere vissuta come qualcosa di costruttivo. Accompagnando in macchina Francesca che piangeva disperata, ripensando al nostro cammino di questi anni, ho avuto dei brividi. Questo cammino è stato possibile per la partecipazione di tutti. Non siamo stati noi a renderlo possibile ma il Signore! Uscendo di casa per venire qui, ho ricevuto una telefonata di Savina che, sapendo dell'infortunio, si è offerta di far compagnia a Maria Rosa per riflettere assieme sulla lettura che si sarebbe fatta qui a Busto. Questo è la dimostrazione della nostra appartenenza e del sostegno che sappiamo darci l'un l'altro.

Giovanni Rimoldi (Busto A.) Come insegnante delle medie superiori, ci tengo molto a stare vicino ai giovani. Vi assicuro che voi per loro siete di grande esempio. Insegnando ai giovani mi sono reso conto che l'importante è il modo con cui si insegna. Insegnando filosofia è inevitabile che i discorsi si colleghino a Cristo e al senso della vita.
Oggi ai giovani sembra mancare il valore della vita. In realtà sono in ricerca. Non ho mai trovato un giovane che non sia aperto alla dimensione della fede. Certo bisogna scavare molto in loro. La società attuale è la società dell'apparenza, dell'immagine e dei consumi. Ma i giovani sono alla ricerca di Cristo. Spesso durante le lezioni subentra il discorso della sofferenza, della morte e del perchè si vive.
La morte di un giovane è disumana, non ha senso, perchè noi siamo fatti per la gioia: "E Dio vide che tutto ciò era buono" (Gen 1). Come educatori dobbiamo insegnare ai giovani ad essere ottimisti. Anche la morte diventa "Sorella morte". A Gerusalemme c'è un sepolcro vuoto, come mai? O hanno trafugato il cadavere oppure è vuoto perchè Cristo è risorto. Questo è l'unico miracolo vero fino in fondo. San Paolo diceva: "Se Cristo non fosse risorto bugiarda sarebbe la nostra fede". La realtà invece è Cristo. Bestemmiare Dio quando muore un figlio è comprensibile. Anch'io l'ho fatto. Non erano però vere bestemmie. Erano gridi di aiuto. Noi siamo dei miracoli viventi. Quello che siamo oggi non è frutto del nostro impegno, del nostro sforzo ma della fede e della preghiera. Continueranno ad esserci momenti di difficoltà. Per superarli occorre continuare ad avere fiducia nella vita, che chiede l’eternità. La ferita per la perdita di un figlio può essere colmata solo guardando a Cristo risorto.

Don Giancarlo. L’imprecazione è comprensibile in quanto grido esasperato del cuore di fronte al male a cui non ci si rassegna. Ma allora non è più bestemmia: è domanda, è supplica. "Padre liberami dal male". La bestemmia in quanto tale non è mai grido accorato della creatura che si sorprende ferita o ingiustamente sfidata. La bestemmia nell’uso corrente è irragionevole perchè ribellione, pretesa, disprezzo.

Giorgio Macchi (Varese). Tante volte la tentazione di bestemmiare è forte. Questa settimana, per me e Paola, è stata molto difficile. Credevo di essere preparato di fronte alla prova. Ogni volta che sei messo di fronte al dramma della vita che ti può essere strappata da un momento all’altro, ti rendi conto di essere impotente e, comunque, sempre impreparato.
Mio nipote Maurizio, quarant'anni con due bambini piccoli, è in coma per un aneurisma. Sono andato in crisi e, per un attimo, c'è stata anche la tentazione di non partecipare più a “famiglie in cammino”. E' stato proprio un attimo di scoramento nel vederci così fragili. Vi chiedo di pregare per lui, per i suoi figli, per la moglie ed anche per me e per Paola.
Sentivo il bisogno di avere davanti una faccia amica che mi ridonasse quelle certezze che mi avevano già accompagnato nelle vicende di Lidia e di Nadia. Così mercoledì sono venuto a Busto a trovare don Giancarlo. E’ stato un attimo e, subito, mi è tornata la forza di continuare anche se la realtà oggettiva in quel momento era quella delle ore di attesa fuori dalla camera intensiva dell'ospedale. Lì puoi solo sperare in un miracolo.
Spesso ho sorpreso lo sguardo della mamma e del papà che cercavano il nostro, quasi in cerca di una estrema speranza. Certo che vedere un ragazzo pieno di forza, muscoloso, un maciste ridotto in quello stato! Abbiamo chiuso la visita con una preghiera nella speranza che i nostri figli, Nadia e Lidia si diano da fare.
Un'altra circostanza è risultata significativa. Nello spedire le lettere del mese scorso, mi mancava una busta e un francobollo. Per pigrizia sono stato tentato di non spedire la lettera a una delle nostre famiglie d’Italia. La scusa era “tanto non si è mai fatta sentire…”. Poi, però, non l’ho trovato giusto e ho finito per inviare la lettera. L'altra sera arriva la sua telefonata dalla Sicilia. Siamo stati un'ora al telefono. Mi ha raccontato la sua profonda solitudine e la compagnia che le fanno le sintesi che noi le mandiamo.
Tale circostanza e l’altra del censimento che ho vissuto nella mansione del rivelatore mi hanno spronato e dato forza per continuare.
Lo spirito che mi ha mosso non era quello del guadagno ma del servizio. Ho destinato il guadagno per la mia prestazione alla “Fondazione Lidia Macchi “ per le opere in Uganda. Ho incontrato tante persone che conoscevano la mia storia e mi hanno parlato dei loro dispiaceri e della loro solitudine. E’ stata una grossa esperienza gratificante dove mi sono accorto del cammino fatto in questi anni con tanti di voi.

Natale Colombo ( Usmate) Occorre ringraziare il Signore per la ricchezza testimoniata dai nostri amici. Con noi oggi c'è Liviana che vive un'esperienza analoga alla nostra in un'altra zona della Lombardia. L'abbiamo incontrata il mese scorso. Oggi l'abbiamo ritrovato a un mercatino dove con un'amica vendeva dei libri per aiutare alcuni bambini del Brasile. Avremo modo di confrontarci sulla sua testimonianza.

Liviana (Montevecchia) Ringrazio Natale e Flora che mi hanno dato la possibilità di incontrarvi. La nostra esperienza è diversa dalla vostra in quanto ci sono persone che vivono il dolore in modo più chiuso.
Premetto che prima ero atea. Non volevo incontrare Dio perchè avrei dovuto cambiare stile di vita, cosa che non volevo fare. Con la morte di mio figlio, avvenuta sei anni fa, mi sono trovata nel buio totale perché, pensando che dopo la morte non c'era più niente, di conseguenza non c'era più nemmeno mio figlio. Ho fatto la nomade spirituale: cercavo Dio, ma dove? In quel momento non avevo vicino un sacerdote, anche perchè rifiutavo la Chiesa nel modo più assoluto. Mi sono trovata a percorrere da sola il cammino dell'esoterico. Con altre mamme, attraverso il gruppo della Speranza, sono andata a Rimini e a Riccione. Ho scoperto che Dio cammina con noi, non ci abbandona mai. Attraverso le medium cercavo mio figlio che però non trovavo mai. In questi posti ho visto la sofferenza.Si era in cinquecento o seicento persone. Attraverso la sofferenza ho sentito la fratellanza che solo la sofferenza porta. Dio mi ha aiutato a vedere tutti fratelli. Sono passata alla ricerca filosofica attraverso il Buddismo, ma non trovavo risposte.
Attraverso i testimoni di Geova ho iniziato un nuovo cammino. Dio era con me perché, perlomeno, ho iniziato a capire cos'era la Bibbia che non conoscevo. Mi sentivo confusa e invocavo Dio affinchè mi facesse conoscere la giusta strada. Dio mi ha esaudita. Dopo 32 anni ho fatto la prima Comunione ed è stata una cosa bellissima. Tutte le mie domande erano colmate. E' un percorso che ho fatto da sola. Il momento della Comunione eucaristica è stato un accadimento bellissimo. Ho capito cos'è la preghiera. Da ragazzina la Messa era per me una grande "rottura". Era pesante e gli altri erano degli estranei. Mi sembrava di essere osservata per come vestivo. Vedevo la cosa come l’appuntamento domenicale dei benpensanti. Ho incominciato invece a capire la bellezza della preghiera e a sentire tutti fratelli, raccolti in chiesa per cantare e lodare Dio attraverso la Messa. Mio figlio è diventato per me un trampolino di lancio e questo è qualcosa di unico.
Adesso Cristo continua a camminare con me, a farmi vedere la famiglia come un gruppo di persone aperto a tutta l'umanità. Ci sono comunque momenti difficili. Ho presente che Cristo continua a guardarmi con misericordia.
La preghiera è il momento in cui ascoltiamo Dio. Quando lasciamo che parli dentro di noi attraverso il Suo Spirito, allora arriva la preghiera vera, la preghiera del cuore. Adesso sono dentro la Chiesa. Ogni tanto, quando non capisco, scappo ancora. Vengo però ripresa e richiamata alla fedeltà. Questo mi ha fatto capire che la Chiesa siamo tutti noi, laici e clero in missione per costruire un mondo migliore. Adesso so che mio figlio cammina con me e con Cristo. Sono certa che loro sono veramente felici del cammino che stiamo facendo in Cristo.

Teresina (Erba) Sono sempre stata cattolica praticante ma il mio modo di vivere la fede è cambiato. L'ho sperimentato proprio in questi giorni di S. Quarantore in Parrocchia. Mentre gli altri anni le ho vissute in modo superficiale, per la prima volta, quest’anno ho sperimentato una pace interiore anche se per pochi attimi. Col rientro in casa si è presi dalle solite preoccupazioni. Da quando ci è mancato nostro figlio, forse sto vivendo un'ansia esagerata nei confronti dell'altro. Mio marito ed io amiamo molto camminare in montagna. Abitando ad Erba abbiamo questa possibilità. Dentro di me ho sempre avuto una preghiera di ringraziamento per la natura e per tutto quello che il creato ci offre. Provo però anche una rabbia molto forte in quanto mio figlio non ha più la possibilità di godere di queste gioie. Non pensavo per lui a una vita di chissà quale felicità. Ma queste piccole gioie che ai morti non sono più date, egli non erano ancora in grado di apprezzarle.

Don Giancarlo. Durante la pausa ho colto una bella riflessione: "Quando ci troviamo ci rendiamo conto dell'entità del miracolo". Il miracolo è il mistero che irrompe nell'umano e lo perfora rigenerandolo. L'aspetto razionalmente e, spesso, affettivamente percettibile del miracolo è un cambiamento che, in certi casi, affiora anche a livello di commozione, di una spinta che viene dal di dentro e che coinvolge tutte le fibre dell'umano fino a muovere le ghiandole lacrimali.
Il miracolo è dunque una trasformazione che porta sulla vita una nuova chiave di lettura che dà la sensazione di uscire dal tunnel oppure di incominciare ad avere un aggancio sicuro cui aggrapparsi. Sul fondamento del miracolo si inizia a costruire una nuova consapevolezza del proprio io. Ogni persona è una singolarità unica, originale e irripetibile che appartiene al Tu misterioso di Dio. La persona incomincia a esistere a livello di coscienza quando capisce chi è, che valore ha, da quale dignità è costituita, quale vocazione e quale strada abbia davanti a sè per orientarsi verso il suo destino. Il miracolo, facendo irrompere il divino nell'umano che ne risulta rigenerato è la realtà vera che sfonda le apparenze e ne costituisce il sottofondo sicuro. Per questo Gesù parlando di sè ha detto: "Io sono la realtà, la vita, la verità, la strada, la porta, la resurrezione, il pane vivo, sono DIO, sono TUTTO".


Oggi in mezzo a noi è circolata l’energia dello Spirito Santo che ha lasciato il segno del suo passaggio. Sono sicuro che, quando avremo tra le mani il testo degli interventi che ci permetterà di collegare i volti alle parole, capiremo di più la natura e il contenuto della parola miracolo. Allora ci chiederemo : "E' avvenuto anche in me?" Qualora la risposta fosse affermativa sono sicuro che, insieme alla gioia e al grazie, si ripartirà per ricostruire nuove sensibilità di vita e di relazione con le persone cui vogliamo bene.
Questa sera lasciamoci con nel cuore l’affermazione: "La realtà è Cristo". Portiamola via come certezza e come ipotesi attraverso cui abbordare l'apparente. Se l'abbiamo addosso o la scegliamo come principio per vagliare la realtà sono sicuro che saremo più pronti a tutto e a tutti senza fermarci alle impressioni. Ricordiamocela e ricuperiamola nella memoria.
Paolo diceva: "Il pensare che uno ha dato la vita per me è fonte di struggimento". Lo struggimento è una passione non passionale, è una passione amorosa che mira alla pienezza. Siccome la realtà è Cristo allora la vita si carica di drammaticità, quella della ricerca, del non fermarsi al qui pro quo, al rifiuto, al supposto, al luogo comune, alla sensazione e alle attese provvisorie. Tutte le attese provvisorie sono illusorie.
Scavare e approfondire in nome della certezza che Cristo è la consistenza della realtà arricchisce la vita di scenari splendidi e di possibilità che rendono lo sguardo su di essa più lungimirante. Quando il miracolo sorprende l'umano, l'io si mobilita e si lancia nella condivisione amorosa.
Oggi abbiamo sentito casi di persone rinate da incontri, persone che hanno fatto delle lunghe traversate esistenziali. Liliana ci ha fatto partecipe del suo approdo al porto inaspettato dell'Eucarestia dopo anni di ricerca nei campi dell' esoterismo, della filosofia e delle sette. Era un “figliol prodigo”. Alla fine si è sentita recuperata dal Padre misericordioso e amorevole.
La certezza che Cristo è la realtà trasforma la fatica della ricerca in preghiera. L'attesa del compimento e la ricerca della felicità spingono il cuore dell'uomo al grido.
Oggi sono emersi modi diversi di esprimere la preghiera: grido, bestemmia, gemito, supplica, contemplazione, accettazione.
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