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Ottobre: incontro mensile

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INCONTRO DI FAMIGLIE IN CAMMINO
OTTOBRE 2001

Natale Colombo (Usmate). Un saluto particolare ai nuovi e ad Anna che da Rimini, ci ha raggiunto per un desiderio grande di condividere con noi questa giornata. Iniziamo con il canto, l'Angelus e la preghiera di famiglie in cammino.

                Povera voce

                Povera voce di un uomo che non c’è
                la nostra voce, se non ha più un perché:
                deve gridare, deve implorare
                che il respiro della vita non abbia fine.

                Poi deve cantare perché la vita c’è,
                tutta la vita chiede l’eternità;
                non può morire, non può finire
                la nostra voce la vita chiede all’amor.

                Non è povera voce di un uomo che non c’è:
                la nostra voce canta con un perché.

Don Giancarlo
Qualcuno di noi può rispecchiarsi sia nella prima parte del canto che nella seconda. Quando viene meno la freschezza e l’entusiasmo della ricerca della verità e della felicità, quando il cuore (termine biblico che qualifica la coscienza ricca di dimensione affettiva) si spegne, l'uomo non c'è più. Tanto è vero che molti di voi, quando sono stati fulmineamente o brutalmente colpiti dalla perdita di un figlio, hanno reagito in modo scomposto. In certi periodi caratterizzati dalla depressione e dallo scoramento, la vita non c'era più. Ci si è trovati più zombi e più fantasmi che personalità in azione. Prendendo coscienza della nuova situazione in rapporto a un prima, ricco di sentimento, di relazioni e di gusto nelle cose, non ci si riconosceva più.
La prima parte della canzone evidenzia questo. La voce di cui si parla è “la povera voce di un uomo che non c'è più”. Il nostro io, quando si trova privato di una ragione adeguata al dono-compito della vita, può solo gridare e implorare perchè almeno la sorgente indistruttibile dell'io non abbia fine.
La seconda parte descrive la condizione di chi, dopo aver smarrito l’io e dopo aver sofferto l'esperienza dello spegnimento, si ritrova in quanto il suo grido è stato raccolto e condiviso da altre persone. Noi siamo una compagnia (pensate che miracolo!) nata sul terreno dello spegnimento prodotto dalla dura prova della crocifissione della carne e il grido è diventato poi un passa parola, una telefonata, un incontro, un'uscita, una cena insieme e mille altre articolazioni dell'umano. L'io si è ritrovato, ha ripreso fiato ed ha recuperato la speranza.
A Rimini dicevamo che "tutta la vita chiede l'eternità". L'io è radicato nell'Eterno, è fatto a immagine e somiglianza dell'Eterno. L'uomo non è il prodotto della fisica o della chimica bensì il frutto di un gesto di amore di Dio che ha poi usato dell’uomo e della donna per renderlo papà o mamma all'interno di una storia di amicizia preferenziale.
Per questo “la nostra voce la vita chiede all'amor” e riprende a cantare.
Questa canzone è stata composta al liceo Berchet di Milano negli anni '50 da due ragazzine ginnasiali. Oggi sono due personalità: una è docente universitaria di letteratura antica greco e latina, l'altra è cantautrice.

Piera di Busto. Sono la mamma di Simone, morto 13 anni fa in un incidente in bicicletta. Era un bambino d'oro come credo dicano tutte le mamme del loro bambino. Sono contenta di aver avuto questo incontro con voi e spero che la conoscenza cresca nel tempo.

Vicilio. Nel luglio di quest’anno, abbiamo perso nostro figlio ventinovenne. Mentre attraversava la strada con un amico è stato investito. Sono morti entrambi. Noi abbiamo saputo di “Famiglie in cammino” da amici di Solbiate Olona e abbiamo voluto parteciparvi. Raccogliamo le parole che ci ha detto una signora appena arrivati: frequentando il gruppo, inizialmente, ero disorientata dalle persone sofferenti. Poi ho capito e sono entrata in questo spirito. Il nostro disorientamento riguarda anche il rapporto con Dio. La prima reazione è quella di non accettare, di allontanarsi. Stiamo cercando la strada per dare un senso all'accaduto e speriamo che l'essere qui ci sia di aiuto.

Anna (Rimini). Sono la mamma di Lorenzo, morto in un incidente col motorino il 31 agosto del 1993. Mi rivolgo specialmente a coloro che hanno perso il figlio da pochi mesi.
Il primo periodo è terribile, quello del coltello infilato tra il cuore e lo stomaco. E' un periodo atroce che, ora, sto rivivendo con la mamma di un mio scolaro morto di leucemia nel maggio di quest'anno. Vivo accanto a questa mamma sapendo cosa si prova. E' un dolore quasi fisico, costante.
Però non ho mai perso la fiducia nel Signore, mai. Ho detto al Signore, fin dal primo momento, che volevo ritrovare subito Lui perchè sapevo che ritrovando Lui avrei anche ritrovato mio figlio. Fin dai primi mesi l'ho cercato in tutti i modi e ho cercato di capire che il Signore mi voleva ancora bene e mi ha sempre voluto bene. Non ha mai smesso di volermi bene nemmeno un secondo. Sono stata molto aiutata dalle preghiere della gente. Chiedevo preghiere a qualunque persona incontrassi.
Il primo momento è stato di sconvolgimento addirittura fisico. La mattina mi svegliavo tremando. Ma sono arrivata a riconoscere che il Signore mi amava comunque fortemente. Sono arrivata alla convinzione che anche il vivere fino a 100 anni, rispetto all'eternità, non ha senso. Ho capito che mio figlio è stato scelto dal Signore forse nel momento più importante. Per il Signore era già pronto e ne ho avuto la prova in una lettera trovata 4 anni dopo la sua morte. Un mese prima di morire mio figlio spiegava che la sua massima aspirazione era quella di ricongiungersi al Signore. In fondo questa vita non gli bastava più. Voleva vivere una vita diversa, una vita in cielo.
Questo è stato per noi motivo di grande conforto perchè Lorenzo era talmente pronto per il Signore che il Signore lo ha accontentato. Sono convinta che il Signore scelga il momento adatto.
Il mio scolaro morto a maggio aveva 15 anni. Era un ragazzo già perfetto sotto ogni profilo. Non avrebbe potuto aumentare la sua perfezione agli occhi del Signore. Io penso che questi ragazzi meravigliosi il Signore li voglia accanto a sé per un disegno che adesso non comprendiamo perchè il nostro cuore è sconvolto. E' come se noi vedessimo la trama di un arazzo dal retro dove ci sono tutti i fili intrecciati e non riusciamo a capire l’ordito. Quando però ci sarà dato di capire il disegno di Dio allora il nostro cuore si placherà.
Io cerco di far ritrovare equilibrio alla mamma del mio scolaro assicurandole che i nostri figli sono vivi. Appena chiuderemo gli occhi, la prima sorpresa che avremo è di ritrovarceli lì accanto. E' un errore pensare di averli persi. Sono talmente vivi che ci sono accanto ogni momento, ancora più di prima. Abbiamo la sicurezza di questo, una certezza che nessuno mai più ci toglierà.
Ai genitori che sono travolti dal dolore dico di non cedere mai alla tentazione fortissima della disperazione. Solo così la vita avrà un significato anche per tanti altri che avranno bisogno della nostra parola di conforto. Salveremo le persone cui tenderemo la mano. Come dicevo a chi è venuto a Rimini, il nostro cammino è difficile perché, di fatto e senza saperlo, noi sottraiamo al demonio delle anime disperate. La disperazione è del demonio. La vita riserva sempre delle prove. La mia vita, dopo il '93, non è stata facile.
La tentazione della disperazione è sempre stata fortissima. L'unico rimedio è di stare vicini al Signore e di sapere che Lui ci vuole bene, che ci tiene tra le braccia, che dobbiamo rivolgerci sempre solamente a Lui, che Lui è il nostro sostegno e la nostra forza.
Io penso che tutti voi siate sicuri che i vostri figli siano salvi. Il Signore li ha voluti accanto a sè per un disegno che ci sfugge ma un giorno, sicuramente, capiremo. Le nostre lacrime si asciugheranno in un attimo e vedremo finalmente con occhi chiari quello che il Signore voleva da noi. Questa prova è una purificazione e un perfezionamento per arrivare da Lui. La nostra vita non finisce qui. La prospettiva è una vita che non finirà mai e che sarà perfetta nella gioia insieme ai nostri figli.
A una suora che mi aveva confortato molto dopo la morte di mio figlio dicevo sempre che, per dare un senso a quanto mi era successo, avrei dovuto continuare a testimoniare la mia fede che, in tal modo, si sarebbe rafforzata. I primi giorni mi sono sentita simile alla Madonna, addolorata come Lei. Dicevo alla Madonna che, avendo lei sofferto lo stesso dolore, doveva amarmi particolarmente e perciò fare in modo che anche Gesù suo Figlio mi amasse particolarmente.
Daniela e Claudio di Rimini vi mandano i loro saluti e hanno detto che al più presto saranno con noi.

Antonio Zanotello (Gallarate) Ricordiamoci di essere genitori. Troppo spesso, dopo una tragedia o un dramma, non ci sentiamo più nè padri nè madri. E' un errore.

Giancarlo Migliavacca ( Milano ) Fra di noi c'è un’ amica venuta da Albissola che non sta bene ma ha avuto la forza di venire per provare il calore di questa comunità. Come dice don Giussani la preghiera della comunità è veramente una preghiera che ci accomuna in un modo fantastico, ci fa sentire il peso della Croce più leggero. Nella sofferenza il Signore ci dà la possibilità di aprire orizzonti nuovi, quelli delle altezze e delle profondità che una vita normale, io credo, non riesca a raggiungere perchè proiettata su altre dimensioni, quelle della lunghezza e della larghezza, cioè della ricchezza come benessere.

Valentina Migliavacca (Milano) Sono la moglie di Giancarlo. Volevo raccontare a chi non ci conosce la nostra storia. Son 12 anni che abbiamo perso nostro figlio. Con la Fede siamo riusciti ad affidarci a Dio e a capire che su ognuno c'è un disegno. Quando, all'inizio, ero nella disperazione più nera, come diceva Anna, mi recavo nella Chiesa della parrocchia dedicata a S. Francesco e chiedevo al Signore di farmi capire cosa volesse da me. Ho scoperto la “preghiera semplice” di S. Francesco che dice "Signore fa' che invece di essere amata io possa amare; fa' che invece di essere consolata io possa consolare perchè è dando che si riceve ed è morendo che si resuscita alla vita per sempre".
Quelle parole mi hanno aperto gli occhi. Mi ero chiusa e aspettavo che gli altri mi venissero incontro per aiutarmi. Da quando ho fatto mia la preghiera, i rapporti con i vicini sono cambiati. Mi sono aperta ad un timido sorriso di saluto e, a poco a poco, ho potuto ascoltare anche le storie degli altri. Il mio esempio, inavvertitamente, diventava “importante”.
Ho rovesciato la storia. Invece di compiangermi e aspettare di essere consolata ho ascoltato le storie degli altri e, poco a poco, sono guarita. L’incontro con Giorgio e Raimonda, per me, è stato determinante. Il Signore li ha messi sulla nostra strada. Ci hanno aiutato molto con la loro grandissima fede. Il Signore non ci abbandona; conosce il nostro dolore. Noi dobbiamo dire il nostro sì come ha fatto Maria. Per non sprecare la nostra vita dobbiamo aprirci agli altri perchè, come dice Madre Teresa di Calcutta, quello che conterà alla fine della nostra vita sarà quello che saremo riusciti a dare.

Sono entrata in un gruppo di preghiera dove si loda e si ringrazia il Signore. La preghiera è un gesto che faccio continuamente perchè il Signore è grande. L’attuale non è la nostra vera vita. La vita comincerà quando vedremo Dio senza più veli.

Don Giancarlo. Tra le tante cose belle dette da Giancarlo e Valentina vorrei correggere l'ultima perchè altrimenti noi cristiani potremmo lasciare l'impressione di avere una concezione della vita non attraente.
1. La vita eterna comincia qui. La vita vera incomincia da subito. Il mese scorso abbiamo insistito molto su questo: tutta la vita chiede l'eternità. Essa è già riverbero iniziale dell'Eterno. Sandro, prendendo spunto dalla Bibbia e dalla Tradizione, l’ha definito “Dio-Amore”. Anzi ha detto: Dio è l'Innamorato della singola creatura e, da innamorato, ha rinunciato alla possibilità di scendere dalla Croce e farla in barba a tutti, soprattutto a quelli che dicevano: "Vieni giù e ti crederemo! Dicono che hai sempre fatto cose eccezzionali. Fà vedere adesso chi sei e che cosa vali !”.
Gesù avrebbe potuto raccogliere il guanto di sfida. Ma, quando uno è innamorato, di fronte alla sofferenza della persona amata, vive solo una cosa: obbedisce all'amore rimanendo fedele alla persona amata anche se questa è persa o si trova in quello spegnimento di cui parlavamo all'inizio. La vita vera incomincia qua. Certo è solo un inizio, un albore. Non è ancora il meriggio. La pienezza ha ancora da venire.
Gesù che è venuto a rivelarsi come sorgente di vita vera, ha promesso il centuplo in questa vita e la pienezza nell'aldilà. Di qua il massimo raggiungibile è solo il centuplo misto a fatica. In questo centuplo, però, è già contenuta la vita eterna, cioè la vita vera.
Dall'Illuminismo in poi i Cristiani sono accusati di essere delle mezze cartucce che hanno paura di star dentro il presente di lotta, di conflitto, di sfida e di conquista perché proiettati nell'aldilà. Il Paradiso, come inizio del mondo nuovo, comincia qui. L'ha iniziato Gesù. Noi ne siamo i continuatori. Mi sono sentito in grande sintonia con quanto diceva Anna: "Ho continuato a testimoniare la mia fede e, testimoniandola, la mia fede si è irrobustita".
E' nella missione, è nel vivere il compito che la vita si purifica e cresce.

2. C’è un’altra cosa bella da indicare. Tanti presenti portano le ferite delle trafitture. Anche Gesù le aveva addosso: nelle mani, nei piedi, nel costato. Oggi dice al Tommaso di turno che è in noi: "Metti le tue dita nelle mie ferite e non essere più incredulo ma credente".
Il credere è l'atto più razionale e più realista che l'uomo possa fare. Realista è chi parte dai dati della realtà. Diciamocelo con libertà: è più realista, razionale e umano chi, di fronte ad una prova, incomincia a recriminare, ad autocompiangersi, a ribellarsi e a mandare a quel paese tutto e tutti, oppure chi fa la scelta di accettare un disegno che gli sfugge, quello di Dio e affidarvisi?
Pensiamo al caso di Giobbe che si è ritrovato privo dei figli, dei beni, degli amici e della salute. La moglie inveisce su di lui ironizzando sulla sua Fede in Dio. Egli la rimprovera: “Parli come solo una stupida può parlare" e subito aggiunge: “Dio ha dato, Dio ha tolto”. Colui che dà può togliere e, se toglie, non lo fa per crudeltà ma per un disegno buono che, al momento, ci sfugge. Lo si capirà però nel tempo. Per questo Gesù ha detto al Tommaso di turno che vive in ciascuno di noi: “Non essere più incredulo, cioè incacchiato, risentito e pieno di pretese. Non mettere fra te e la realtà i tuoi pregiudizi e i tuoi schemi. Affidati!”
Credere vuol dire fidarsi, affidarsi, arrendersi non all'evidenza ma a chi nella storia è stato portatore di speranza. Abramo è stato il primo a intuire questo e ha continuato a sperare anche oltre la soglia limite. La soglia ragionevole della speranza la si vive quando nella prova si è di fronte a qualche indizio che suggerisce di continuare nonostante tutto e dentro tutto. Abramo ha continuato a sperare quando ormai questa soglia era stata superata. Dopo aver atteso per anni un figlio che lui non aveva chiesto (glielo aveva promesso Jawhe), vede finalmente arrivare Isacco che, quasi subito, gli viene chiesto di sacrificare.


Abramo, in quel frangente, ha sperato superando la soglia limite della speranza razionale.
Nell'obbedienza della resa, mentre alzava il coltello per sacrificare Isacco, Dio l'ha premiato. Per Abramo, in quel frangente drammatico, è incominciata la vita eterna. Con Isacco ha preso il via una discendenza numerosa come le stelle del cielo.

3. Anna ha detto che la speranza è una questione di sguardo. Lo sguardo è l'angolo di osservazione e di decifrazione del reale. Se dentro un tunnel l’uomo è orientato verso l'uscita, qualche albore di luce dà orientamento al cammino.
La vita è sempre una questione di sguardo, cioè di posizione esistenziale. Se l'ottica è quella dell'io istintuale, dell'io ideologizzato o dell'io succube alla cultura dell'effimero, la vita sarà un disastro. Se l'ottica invece è quella dell'Eterno che si è rivelato dicendoci: "Non temete! Io sarò con voi fino alla fine del mondo. Sono innamorato di voi, non vi pianterò mai. Quando non avvertite la mia presenza e siete tentati di sentirvi scaricati, non dimenticate che Io vi sto portando in braccio. E’ per questo che non vedete più le mie orme. Sulla Croce io ho portato il peso e la miseria di tutti".
Aver fede è consegnarsi lasciando fare a Lui. Noi diciamo "Padre nostro, venga il Tuo regno". A livello esistenziale, il regno di Dio si manifesta quando lo sguardo di Dio sulla realtà coincide con il nostro sguardo, normalmente miope, pusillanime e utilitarista.
La preghiera, nell’interpretazione di S.Tommaso d’Acquino, è domanda a Dio di cose convenienti al compiersi del disegno per cui si è stati creati. La preghiera è sempre domanda di essere e di felicità. Anche quando chiede i beni più contingenti e materiali, in ultima analisi, l’uomo chiede che il Regno accada innanzitutto nella profondità del proprio io. Una mamma o un papà chiedono che il figlio possa continuare a esistere, che goda buona salute e sia in gamba. L’uomo, normalmente, chiede quanto gli sembra utile per realizzare se stesso. Occorre passare da ciò che sembra utile a ciò che è veramente. Quello che appare a noi, quello che sentiamo noi non è detto che sia il massimo di verità.
Valentina ha parlato di rovesciamento. Noi, infatti, facciamo spesso un errore di prospettiva. E aggiungeva: "Ho imparato a donare me". La vita ricevuta come dono si trasforma in compito. Si rovescia nel lancio del proprio io che diventa comunicazione di speranza. Così si accorgono di te come persona che dona amore a molte altre. La paternità e maternità biologica si arricchisce così di una paternità spirituale.

4. Dopo aver messo in risalto la bellezza della preghiera comunitaria, don Giussani, a pag. 148-149 di “Alla ricerca del volto umano”, fa' un'acuta osservazione. Cristo è il modello esemplare della dimensione comunitaria della preghiera. Ogni Suo gesto di preghiera abbracciava tutti gli uomini nel tempo e nello spazio, anche gli uccisori. Egli è il gigante che corre sulle strade dell'esistenza umana.
Il perdono è l'indice della sua libertà nel vivere la carità verso tutti.
La clausura è il luogo dove la valenza della preghiera comunitaria di Cristo viene imitata. Lì, nel gesto di una preghiera perennemente comunitaria, viene ininterrottamente vissuta la carità nei confronti di tutta l’umanità. I monaci e le monache in clausura non sono persone in fuga dalla vita. Ci sono suore toste, laureate; donne in carriera che, a 30 o 40 anni, si sono ritirate in clausura. Sprigionano gioia. Pregano e lavorano ma abbracciano sempre l'umanità tutta, vivono la carità come supplica di propiziazione, di espiazione e d'amore per il male di cui ogni uomo è artefice. La clausura è il parafulmine dell'umanità.
Noi abbiamo incominciato a disistimare troppo la preghiera perchè abbiamo indebolito la fede. Se non si prega la fede diminuisce. Diminuendo la fede non si capisce l'importanza essenziale della preghiera. La maternità-paternità biologica e affettiva si arricchisce della dimensione spirituale quando fa memoria del Tu divino che chiama.
Aiutiamoci nel vivere la consapevolezza della preghiera come grido dell'uomo che mendica conforto, certezza, luce e pace. E’ della natura umana frastornata dal bisogno, cercare aiuto.


Andare al cimitero e pregare per i figli o invocare l’aiuto della Trinità o dei Santi diventano motivo di sollievo ma soprattutto di conversione del cuore. Abbiamo sempre bisogno di convertirci. La conversione ricomincia dallo sguardo e si sviluppa nell’adesione amorosa a Gesù Cristo.


Marcello Crolla (Busto A.) Provengo dall'Uruguay dove, recentemente, sono andato a visitare mia madre e i miei fratelli. Due anni fa è venuto a trovarci un missionario che lavora in un paesino nascosto nelle campagne dell'Uruguay, un paesino povero con molta miseria e troppa delinquenza. Questo missionario era rimasto colpito dal nostro stare insieme in serenità. Mi ha invitato a raccontare la nostra esperienza di "Famiglie in cammino" ad un gruppo di parrocchiani. Si è talmente sentito messo in discussione da iniziare a prendersi cura del dolore di altre persone. Il gruppo di "Famiglie in cammino" nato in Uruguay è diventato strumento di aggregazione, di ritorno alla fede, di riscoperta dei Sacramenti (soprattutto del vincolo matrimoniale) e di educazione dei figli. La gioia di vivere è entrata nel cuore di questo sacerdote che, ora, la sta trasmettendo ad un intero paese.

Don Giancarlo. Attualmente stiamo meditando sull'arte del pregare. Così il Papa definisce la preghiera nella lettera apostolica sul terzo millennio. Man mano la si vive per farla diventare dimensione naturale dell'io, la preghiera diventa l'espressione più artistica e più geniale dell'umano. Il Papa dice che è lo strumento per diventare Santi. Santo non è l'uomo impeccabile, l'uomo coerente. Santo è l'uomo vero nel senso che è reso partecipe della vita di Gesù che ha reso incontrabile il divino. La preghiera è quello strumento che, una volta affinato e assimilato, è paragonabile a una espressione artistica. Dio ci ha mandato Gesù perchè desse nella sua umanità un esempio, guardando il quale, l’uomo possa dire: "Però vivere così sarebbe una cosa bella, piacerebbe anche a me, peccato che non ce la faccio!!".
La preghiera non è l'espressione dei bigotti. Prega chi è uomo e vuol diventare sempre più umano. Nessuno è salvatore di se stesso. C’è bisogno di un Altro che ci liberi dal male perchè noi siamo capaci di fare il male ma non di risollevarci da esso. La preghiera è l'espressione dell'uomo che vive la consapevolezza di essere creatura dipendente e appartenente a Dio che lo ama.
Don Giussani ci dice che l'uomo, attraverso l'esercizio della preghiera, ne impara la dimensione comunitaria. La preghiera è sempre espressione della persona. Il concetto di persona è diverso dal concetto di individuo. Il concetto di persona racchiude in sè l'originalità, l'unicità e l'irriducibilità del singolo. Ma è un singolo che appartiene. Non è autonomo, non è autosufficiente. E’ un singolo appartenente e dipendente da una reciprocità comunionale e fraterna. L'io in rapporto al tu di Dio diventa un noi. I figli sono la proiezione dell’io e del tu dei genitori. Senza questa comunione non ci sarebbe la famiglia.
Istintivamente noi sentiamo la preghiera comunitaria come una limitazione. Molte volte la subiamo come mortificazione anziché come esaltazione del nostro io. La preghiera comunionalmente intesa fa, invece, esprimere l'io al massimo della sua possibilità.
La collettività non nasce mai dalla decisione libera dell'io. La collettività è esterna all'io. L'espressione normale della collettività è la legge. Di fronte al collettivo l'io si sente diminuito. Accetta la diminuzione perchè non ne può fare a meno.
Al contrario, la comunità e la dimensione comunitaria nascono dalla decisione libera dell'io (pag. 147-152 di “Alla ricerca del volto umano - Rizzoli - ).
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