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Incontro del 17/10/2010

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MIlano, 17 ottobre 2010

Il valore dell’appartenenza a “Famiglie in cammino”

 

L’aver frequentato questo nostro gruppo mi ha ridato la vita: ho fatto un cambiamento che non immaginavo, perché adagio adagio il Signore si fa scoprire e adagio adagio ti guarisce…

DON GIANCARLO:  Anche in questo incontro cerchiamo di  mettere in comune la vita,  quella che di essa ciascuno di noi  giudica meritevole di essere offerta, regalata; segno di appartenenza  a un cammino, segno di stima  comunionale e reciproca: solo tra amici si parla in un certo modo. Un ricordo di qualche sera fa. Ero in una casa di questo quartiere di Milano a fare scuola di comunità ad una quindicina di persone, tra cui c’erano una mamma e un papà con il figlio medico trentenne. Il papà ad un certo punto ha esordito raccontandoci il dramma della mamma quasi novantenne da anni afflitta dal morbo di Alzheimer, ricoverata in una struttura adeguata alla gravità della malattia.

Di fronte al costante deperimento dovuto anche alla crescente difficoltà di deglutire gli alimenti, ha posto il dilemma se procedere a un intervento chirurgico con il rischio dell’accanimento terapeutico o comunque, data l’età e la condizione, di morire sotto i ferri, o lasciarla, per così dire, morire di fame; un’alternativa quest’ultima rifiutata dall’amore dei figli. L’aiuto richiesto è stato l’occasione per esprimere il proprio giudizio in modo costruttivo. Un giudizio vero confortato dall’amicizia e dall’amore a  Cristo verità, che ha educato in questi anni la sensibilità e il nostro sguardo  nel considerare i fatti della vita entro lo spettro più integrale, per arrivare a una valutazione non manipolata e non riduttiva, quindi non ideologica, non sentimentalistica. Così alla fine  il giudizio al quale siamo arrivati è stata la scelta non dell’intervento chirurgico ma  quella dello studio e del ricorso a tutti quegli espedienti scoperti dalla tecnica nutrizionistica, lasciando alla natura di fare il suo corso fino a permettere a questa mamma il suo transito dopo un decennio di fatica e di dolore. Questo giudizio condiviso, in linea con il magistero della Chiesa, è stato occasione per questo papà, che pure ha un figlio medico, di sentirsi aiutato, sorretto nel chiarire a se stesso una scelta difficile.  

Ho voluto portarvi questo fatto perché questo è lo stile, è il clima comunionale, anche se non è facile da vivere. E’ quanto si chiede anche al nostro gruppo, malgrado proveniamo da tanti luoghi diversi.

 

UNA MAMMA:  Io sono contenta di essere ritornata  dopo un certo periodo di tempo.

Dopo un’altra “bastonata” c’è voluto del tempo per riprendere il cammino. Poi, per fortuna, pregando il Signore perché dia la forza a me e a mio marito di riuscire ad  acquistare un pochino di tranquillità,  andiamo avanti e arriviamo persino a dire che la vita è bella. Grati al Signore che ce l’ha data, ricordando  i momenti più belli della vita che sicuramente ciascuno di noi ha avuto, si va avanti pregando sempre il Signore perché ci dia la forza di continuare il nostro cammino. Noi siamo un gruppo di persone e abbiamo un denominatore comune, “Famiglie in cammino”; inoltre abbiamo la fortuna di essere credenti e questo ci aiuta ad acquisire quel  poco di serenità che ci fa sperare. Una serenità che abbiamo acquisito con fatica, perché il percorso è stato penoso, duro e tale lo è ancora. La certezza di un futuro nell’aldilà che la fede ci dona ci è  però motivo di speranza. Ringraziamo il Signore per la vita che ci ha dato e per il dono della fede.

 

 GIOVANNA  (Sovere):  Posso dire una cosa? Don Giancarlo prima ha detto che dobbiamo mettere in comunione le nostre esperienze di vita. Sono  dieci anni che con mio marito partecipo a questi incontri. Sono stata restia a intervenire, ma, anche se non parlavo, per noi c’è stato un cammino di speranza. Sentendo gli altri, avevo delle conferme perché dicevano delle cose che pure io sentivo.  Da quando in questo cammino ho incontrato Dio, sicuramente  ho fatto un cambiamento totale e in questo don Giancarlo, che ringrazio, è stato il pilastro di tutto.

 

NAZARENO (Tradate):  Frequento un altro gruppo, tipo il nostro, che raduna persone colpite da disgrazie. Conosco una famiglia che, quando ha perso il figlio, è arrivata che faceva fatica a

parlare. Ora questa famiglia piano piano si è risollevata. Lì non si parla di fede, ma quello che volevo dire è che il trovarsi a  parlare condividendo le nostre esperienze aiuta molto ad uscire dal nostro dolore. Ciò è molto importante, perché molta gente si chiude in sé stessa, soffre e basta; questo secondo me non va bene. C’è ad esempio una donna che ha perso marito e figlio: le prime volte in cui ci siamo incontrati, non riusciva a proferire parola, contrariamente a oggi. Il nostro trovarci insieme  la aiuta moltissimo. Se possiamo parlare, dire la nostra, anche se ci esprimiamo male, la cosa  aiuta. Aggiungo un’altra cosa. Rifacendomi all’omelia di don Giancarlo, ritengo anch’io che la parola di Dio è vita, è dono, è gioia anche nella tristezza. Peccato che io riesca a memorizzare poco, perché la parola di Dio è vita!

 

VALENTINA (Milano):  L’aver frequentato questo nostro gruppo di “Famiglie in cammino” mi ha ridato la vita: ho fatto un cambiamento che non immaginavo, perché adagio adagio il Signore

si fa scoprire e adagio adagio ti guarisce; guarisce le ferite, ti dà la forza e il coraggio per andare avanti. A chi inizia questo cammino di speranza dico che occorre aver pazienza e perseveranza, perché adagio adagio vedrai che il tuo cuore troverà veramente ristoro nella parola di Dio con l’aiuto di don Giancarlo, che anch’io ringrazio.

 

FLORA  (Usmate):  Vorrei parlare su questo argomento: cosa significhi per me e per mio marito Natale frequentare questo gruppo. Sono trascorsi tanti anni da quando il nostro Christian ci ha lasciati. Mi sono chiesta se il frequentare questo gruppo sia diventato qualcosa di scontato; invece non lo è. Ogni volta che vi vengo trovo qualcosa di diverso. Il Signore veramente ci premia perché ci fa trovare gli amici con cui si può condividere le nostre esperienze. Si può, come diceva don Giancarlo, chiedere un consiglio, un giudizio su quello che ci può capitare, e poi si può trovare una energia in più quando, come oggi,  si rivedono delle persone che da tempo non incontravo. Veramente il Signore mi dà sempre di più di quanto mi aspetto! Il  nostro gruppo ha un ambito in più rispetto ad altri, perché non è facile trovare ambiti dove ci si trovi così a proprio agio, dove il Signore ci parla con la sua Parola, è presente con la celebrazione della Messa, con la scuola di comunità, con don Giancarlo a cui sono veramente grata.

 

NATALE (Usmate):  Voglio raccontare un fatto, che ci aiuta a capire che non è tutto scontato. Da quando sono in pensione collaboro con sei centri che si occupano di disagio dei minori. In questi centri io mi occupo anche della fornitura degli alimenti e partecipo alla raccolta del banco alimentare. All’inizio di questa settimana ho accompagnato negli uffici del Banco Alimentare una ragazza ospitata in uno dei nostri centri in cui accudisce la cucina.  Per poter usufruire del banco alimentare, chi si occupa della cucina deve compilare un registro in cui deve indicare lo scarico o il carico della merce. Questa ragazza è rimasta colpita innanzitutto dall’impegno gratuito dei volontari e da come quest’opera sia stata fondata. Leggendo uno degli opuscoli si è meravigliata del fatto che vi si parlasse di Gesù Cristo. Mi ha quindi confidato che è in Italia da sette anni e che stava cercando un ambito dove insieme si potesse parlare di Gesù.

L’ho quindi invitata a casa mia perché quella stessa  sera avevamo la scuola di comunità. Così è venuta. Eravamo una quindicina, ha raccontato l’esperienza che ha vissuto e ha confermato la sua presenza anche per la volta successiva. Quello che volevo dire è che diamo sempre le cose per scontate, ma questo incontro dice tutt’altro!

 

GINO  (Milano):  Voglio ricordarvi un episodio che tutti voi conoscono e che a me ha fatto venire i brividi. Riguarda il salvataggio dei minatori cileni, che ho seguito con tanta trepidazione, e in particolare il comportamento di uno di questi che si è inginocchiato per ringraziare il Signore per il salvataggio avvenuto. Vedendolo, ho riscoperto quanto sia grande il desiderio di incontrare Cristo, di avere Lui come amico. Uno dei minatori ha confessato di aver in un certo senso convissuto laggiù con due altri soggetti. Uno era il Signore, l’altro era il diavolo. Alla fine ha vinto il bene e adesso siamo qui  per lodare il Signore.

Riferendomi al nostro gruppo, tante volte, come anche oggi, mi sono chiesto cosa vado a fare. Ma poi mi dico che lì ci sono dei volti: sono questi vostri volti che  mi hanno riportato qui. La cosa più bella sta nel desiderio  di incontrare Cristo, l’Amico, nei vostri volti. Ecco quello che mi ha riportato oggi qui. Mi sento come quel minatore che ha ringraziato il Signore per il salvataggio avvenuto.

 

EMMA (Milano):  Ho perso il marito quindici giorni fa. Avendo inoltre perso il figlio sedici anni fa  e facendo parte da tanti anni di questo gruppo (ringrazio chi mi ha invitato a entrare), mi sono trovata più preparata di fronte a questa nuova  tragedia. Ho avvertito e avverto il vostro abbraccio, il vostro calore umano: quando accadono queste cose si ha bisogno solo di sentire il calore umano e così ti senti un po’ più sollevata. Certo, è stato un anno  molto duro per me  e soprattutto per mio marito, che ha sofferto tantissimo. Ora l’unica consolazione è pensare che Gesù Cristo lo abbia accolto in Cielo vicino a nostro figlio.

 

GIORGIO (Varese):  Vorrei collegarmi alla tragedia della morte di Sara Scazzi che per me e per mia moglie Paola, anche se in un contesto del tutto diverso, ha richiamato il dramma della morte di nostra figlia Lidia. E’stato come rimettere  il coltello nella piaga. La spettacolarizzazione di questa tragedia, alla ricerca delle cose più morbose e torbide in modo tale da evidenziare il male, conferma quanto l’informazione sia degradata in Italia. Nel nostro caso abbiamo avuto la fortuna dell’incontro con gli amici di Lidia,  che piano piano con il loro modo di essere, senza dire grandi parole, con la loro vicinanza, ci hanno dato la forza di reagire alla disperazione. Mi sono trovato in quel periodo a ringraziare il Signore per aver avuto la forza di accettare la sua proposta di conforto che mi veniva fatta attraverso dei ragazzi che, anziché andare al sabato sera in discoteca, venivano a casa nostra per consolare due genitori. E ora mi trovo a recitare, spesso alla sera, la nostra preghiera,  passando in rassegna i volti degli amici di “Famiglie in cammino”.

 

DON GIANCARLO:  La fede che si è andata rinsaldandosi in voi porta in sé un legame nato da inviti o dai drammi su cui l’invito  ha avuto una forza estrattiva. Abbiamo parlato dei minatori. Ma certi precipizi, certe scivolate in cui l’umano affonda all’interno di certi drammi, con quello che ne consegue a livello di esperienze sentite anche oggi, è paragonabile all’estrazione da un abisso di  una vita. Questa si sarebbe smorzata, si sarebbe frammentata nel disagio permanente che poteva diventare non solo ferita ma cronicità. E quando una ferita diventa cronica è più facile che sia esposta a una infinità di microbi che infettano tutto l’organismo. In riferimento a questa fede abbiamo oggi ascoltato anche cenni di gratitudine, cenni di riconoscenza, volti e nomi che rimandano alla presenza che ci ha tenuto insieme. E’ il frutto della misericordia che ha preso volto, nome, nervatura, ritmi di vita, iniziative, contenuti, proposte, condivisione di quell’amicizia che oggi porta il nome di “Famiglie in cammino”. Non è l’unica, ma è un fiore che è spuntato  sull’albero della storia di ciascuno di noi e delle nostre famiglie. Lo strumento per ambientarlo è nato dalla santità, dal carisma di un prete milanese che si chiama don Luigi Giussani, a cui il Padre Eterno ha dato l’onere e la missione di diventare, per milioni di persone che vivono sul pianeta in settantasette nazioni, un Maestro incontrabile che ha creduto in modo affascinante in Gesù. Ecco,  il carisma vissuto da don Giussani si traduce per noi alla stregua di un addolcimento che ti permette di guardare il percorso, le tragedie, le gioie, i dolori, il tutto con una visione diversa da quella che ti caratterizzava: una visione più vera, più profonda e per questo più bella e più stimolante. Te la fa desiderare;  la vita permane magari dura, ma quello che hai incontrato è paragonabile alla dolcezza in rapporto alla tossicità.

Don Juliàn Carròn, il successore di don Giussani, con altri amici ha elaborato una proposta di vita che si trova nel libretto “Vivere è la memoria di Me”, che accompagna la rivista  “Tracce” e sul quale noi incominceremo a lavorare. Vi dico di conseguenza i passaggi chiave del contenuto presente nella parte introduttiva (pp. 3-10).

Primo. Carròn, riferendosi al papa che è suo punto di riferimento, ha lanciato la parola che contiene il lavoro di quest’anno. E’ la parola “conversione”. In un passaggio, citando il papa, dice che noi cristiani non dobbiamo aver  paura del mondo. Anche se dobbiamo guardarci dalle sue seduzioni,

dobbiamo invece temere il peccato; dobbiamo di conseguenza essere fortemente radicati in Dio, solidali nel bene, nell’amore al servizio. E’ quanto nella tradizione cristiana si chiama urgenza di conversione. Ricordando la sua visita a Fatima, il papa fa presente l’importanza della preghiera, alla scuola di Maria, per la conversione dei cuori.

Secondo. Perché c’è bisogno di conversione? Perché la nostra vita facilmente è esposta agli effetti della famosa contaminazione di Chernobyl, che don Giussani, riferendosi alla contaminazione dei cuori,  descriveva con questa formulazione: “C’è gente intontita, come pervasa dal sonno, o superficiale che non ha l’animo scosso dal pensiero del senso della vita e dal riconoscimento che tutte le cose che ti accadono sono un invito al rapporto col Mistero. E questo trovarci  pervasi dalla sonnolenza che diventa superficialità ci fa capire che la conversione è una urgenza prima di ogni altra cosa per ciascuno di noi.”

Ed ecco il terzo passaggio: il lancio. “Dovete prendere iniziativa - continua don Giussani -  perché la vostra vita sia prima di tutto ed eminentemente rapporto con Dio.”  

L’unica strategia che la Chiesa è chiamata a vivere in un contesto di mondo così secolarizzato, così imbestialito dal relativismo, è la conversione.

Ma questa proposta, questa indicazione che cosa implica? A pagina 6 e 7 Carròn evidenzia che la prima implicazione, per chi si rende disponibile, è la disponibilità al sacrificio.

La nostra disponibilità alla conversione giudica se abbiamo veramente conoscenza della verità, se abbiamo qualcosa di così caro che possiamo essere persino disponibili al sacrificio.

Seconda implicazione. Chi guarda Dio e la sua iniziativa di amore eterno e inesauribile, che ci fa capire come Lui abbia avuto pietà del nostro niente, si trova sempre di fronte a un amore smisurato.

La conversione è questo: lasciare entrare questo amore infinito che si è curvato sul nostro niente.

Nulla può impedire il fatto che  adesso c’è Uno che con un amore eterno, immenso, si curva sul nostro nulla, sul tuo e mio nulla per darci l’essere.

Terza implicazione. Questo curvarsi del Signore su di noi, questo affiancarsi del Signore che diventa compagno attraverso la vicinanza e la presenza di amici che si sono accorti di questo, diventa la presenza che l’uomo può riconoscere come la Presenza vera.

In fondo a pagina 8 Carròn ribadisce il fatto che la verità non è qualcosa di astratto; la verità  è questo amore che si è piegato sul nostro nulla, persino sui nostri tradimenti. Capita anche che noi riduciamo la conversione a un moralismo, a una cosa che dobbiamo generare noi, che dobbiamo fare noi. Invece la verità è commuoverci per il nostro niente che non ha scandalizzato Dio, ma che ha spinto Dio, che è amore, a curvarsi, a interessarsi del nostro niente, a farsene carico, a redimerlo, cioè  a risignificarlo e a potenziarlo della sua vitalità.

Quarta implicazione. Di fronte a una cosa del genere, il minimo da fare è provare simpatia. A pagina 9  si evidenzia quello che  dobbiamo chiedere, perché l’origine di questa iniziativa è la simpatia che Lui genera.

Quinta implicazione. Questo domandare che la Sua presenza susciti simpatia in noi, deve trovarci liberi e decisi nella disponibilità.

Penultimo capoverso. Occorre che questa connotazione generi un movimento personale e che trovi in noi questa disponibilità. La disponibilità è la nostra responsabilità che porta a convertire il nostro io  all’evento Gesù presente in questo amore, che si è curvato su di me e che mi abbraccia persino nel tradimento.

Termino. Cedere a questo abbraccio è la cosa da fare. Non occorre difendersi; anzi, diventa difficile resistere: la conversione è cercare di dire sì alla preferenza che il Mistero ha per noi e se noi rispondiamo ci aiutiamo in questo e ci sosteniamo. Così, come fa notare Carròn, possiamo contribuire al rinnovamento della Chiesa  per il bene del mondo.

Occorre tornarci su. Non tutti i passaggi sono facili, ma meditiamoli, impariamoli, lasciamoci investire. Leggiamoli chiedendoci cosa dice la nostra, la mia vita; paragoniamoci in rapporto a certi giudizi, a certe parole, domandandoci ad esempio cosa voglia dire per noi, per me la parola “simpatia”, a che cosa mi richiama  la disponibilità  alla responsabilità, la commozione di fronte a un amore che non si è fermato, e non si ferma, di fronte all’abisso del nulla.

Quando ci troveremo, metteremo in comune l’iniziale frutto di questo lavoro, o anche domande e problemi che ha fatto nascere.

 

 

 

 

   

 

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