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Gennaio: Incontro mensile

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Gennaio 2007

Don Giancarlo: avendo meditato le pagine dell’enciclica sull’amore di Dio, come è nostra consuetudine, diamo inizio al racconto delle esperienze che ci consente di trarne il beneficio della reciproca edificazione.

Giorgio Macchi (Varese). Quest’anno ricordiamo il ventesimo anno dalla morte di nostra figlia Lidia. Innanzi tutto desideriamo ringraziarvi perché vi sentiamo parte della nostra famiglia; da molti di voi abbiamo avuto grandi dimostrazioni di affetto.

All’inizio d’anno abbiamo scoperto improvvisamente che i telegiornali stavano parlando del caso Lidia. Ci siamo subito chiesti se chi stava rispolverando il caso irrisolto avesse veramente a cuore la ricerca della verità o volesse solo strumentalizzare la vicenda oppure ci fosse di mezzo un interesse scientifico relativo alle nuove frontiere del DNA.
Noi vogliamo che sia fatta giustizia ma non a tutti i costi.
La riapertura del caso ha riaperto la nostra ferita. Ciò che ci sta sostenendo e ci dà forza è la fede. Riconosciamo che la tragedia di nostra figlia è contrassegnata anche di positività: Lidia la incontreremo nella resurrezione finale. Quando sento vacillare questa certezza, chiudo gli occhi e mi concentro su questa certezza Allora mi ritorna chiaro che la cosa importante è rimanere aperti all’orizzonte del Mistero e appoggiarci alla compagnia che ci è stata data.

Da parte dei media è in atto un abuso della nostra immagine e di quanto è stato detto anni fa. Anche quando fanno un programma che ci riguarda non ci avvertono mai. Alcuni giornalisti poi non hanno alcuna coscienza etica perché inventano notizie ed esprimono opinioni che non hanno riscontro con le indagini della magistratura. Spesso ci domandiamo se non sia utile presentarci in qualche programma televisivo per tenere desta l’attenzione e ridimensionare tanti dati imprecisi.

Riteniamo che l’eredità principale lasciataci da Lidia è la certezza dell’esistenza di un Bene supremo più grande di tutto il male esistente nella società. Il bene supremo è la positività esistente dentro ogni dolore e la positività di un’amicizia che porta alla Fede o parte da essa.. Nel nostro cammino il dolore non si è mai ridotto alla disperazione o alla rabbia. Il dolore, vissuto nella Fede, ci ha rigenerati e ci ha sempre dato coraggio.

Ernesto Delbelli Abbiamo fondato l’associazione “Vittime della strada”. Giorgio ha affrontato il problema da due angolature. Una ha riguardato il dolore dentro la famiglia, l’altra la valenza sociale e pubblica della vicenda di Lidia che non può finire nel dimenticatoio. Noi tutti siamo qui perché abbiamo alle spalle tragedie irreversibili e innaturali. Se tutti gli animali vedessero i loro cuccioli morire, nel giro di poche generazioni, sulla terra non ci sarebbe più vita.
Da trent’anni, ogni mese, muoiono sulle strade trecento ragazzi. Dall’ultima guerra mondiale ad oggi, sulle strade, sono morte circa cinquanta milioni di persone. E’ una guerra dichiarata nella quale nessuno fa niente.
La nostra associazione ha come fine quello di scomparire.


Mi auguro che anche Famiglie in cammino non aumenti di numero. Tra i colpiti dal lutto c’è chi tenta di soffocare tutto nel lavoro. Noi ci stiamo impegnando affinché diminuisca il numero di famiglie colpite dai lutti delle strade. Andare a sbattere contro un palo di ferro di cui le strade sono piene, significa morire.


Alcuni test scientifici, eseguiti nel 2000, hanno dimostrato che l’impatto su pali in vetro-resina non porta un danno mortale. Noi cerchiamo di rendere le strade più sicure. Sappiamo cosa occorra fare, i costi e il tempo necessario per intervenire Sono anche state monitorate le strade a maggior rischio. Purtroppo ci scontriamo con l’indifferenza dei politicanti e con promesse che, purtroppo, non hanno poi riscontri attuativi. L’unico successo è stato di aver ottenuto l’installazione dei semafori funzionanti durante tutta la notte sul tratto stradale Saronno-Varese.

Don Giancarlo. L’intervento di Ernesto non deve essere inteso come alternativo al cammino educativo perseguito in questi anni. Alla luce di quanto emerso, possiamo affermare che nessuno ha il diritto di usare della vita di un altro per fare share. Sarebbe una forma di violenza perché usa a scopo pubblicitario e commerciale la dignità o il dramma delle persone.

E’ emersa anche l’urgenza di dare luce e speranza ai cuori feriti non attraverso la rimozione del dolore bensì attraverso una trasfigurazione che lo carichi di significato salvifico e di prospettiva eterna.

Occorre poi creare le premesse perché, nella logica del corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, ciascun discepolo si concepisca come membro di questo corpo e come soggetto vivo e responsabile del bene comune. Tale coscienza lo spinge ad impegnarsi in tutti i campi per prevenire tragedie, per tutelare la dignità e i diritti delle persone e per migliorare la qualità della vita.

Tale missione è il compito della vita che nessuno, però, può imporre. E’ proposta e affidata alla libertà dei singoli. Taluni l’hanno intuita come possibilità e si sono messi in gioco. Anche all’interno della nostra compagnia sono in corso tentativi e responsabilità esemplari.
Ernesto ha promosso l’associazione “Vittime della strada” che mira prevalentemente alla prevenzione degli incidenti stradali. Giorgio con la “Fondazione Lidia Macchi” ha preso in considerazione il bisogno educativo e sanitario dell’ Uganda attraverso amici di CL che, da decenni, operano in quegli ambiti. Altri hanno scelto opere d’assistenza o incarichi educativi sul territorio.

L’importante è che il desiderio di vita e d’immortalità non sia schiacciato dalla cultura nichilista. La cultura della vita deve essere il motore di sfida e di alternativa alla cultura di morte che ha investito il mondo occidentale.

Marisa Crolla (Busto A.). Ieri sera, con Antonietta e Matteo, siamo andati a Trivolzio per affidare a S. Riccardo Pampuri le difficili situazioni delle nostre famiglie. Al termine della S. Messa abbiamo cenato al ristorante con una coppia che appariva serena e scherzosa. Durante la conversazione abbiamo scoperto che stava festeggiando la separazione coniugale e che, trent’anni prima, aveva perso un figlio. Abbiamo raccontato come noi siamo stati cambiati dall’esperienza della morte dei nostri figli, del perché siamo insieme e dell’importanza di appartenere a una compagnia cristiana.

Giovanna Del Bello. I primi di dicembre abbiamo trascorso alcuni giorni in Puglia con Antonietta e Matteo. Abbiamo visitato alcuni santuari, sperimentato la bellezza della convivenza con cari amici e pregato insieme. A S. Giovanni Rotondo abbiamo sentito il bisogno di recitare una preghiera tenendoci per mano. Ho sperimentato la forza dell’amicizia. Così è stato anche a Loreto dove abbiamo incontrato Ilde e Rosario. Dalle nostre storie dolorose può nascere anche la positività.

Vito D’Incognito (Milano). Riprendo l’intervento di Ernesto. Le tecnologie, le leggi e gli organi di vigilanza ci sono. C’è però, contemporaneamente, grande spregiudicatezza. Per molti l’uomo non conta niente. Interessa solo quanto si possa risparmiare.
Per affrontare tali contesti è utile rifarsi a quanto dice il Papa nell’enciclica. Il buon samaritano, mosso dall’amore, si ferma e accudisce il viandante incappato in una disavventura Dio, per primo, ama tutti in modo indiscriminato e in ugual misura. L’esperienza di amore che si alimenta nel Sacramento, nella quotidianità porta il desiderio di sostenere chi è nella difficoltà.
Abbiamo vissuto il periodo di Natale in compagnia del cappellano del cimitero di Lambrate e di un suo nipote colpito dall’AIDS. Aprire la nostra casa a questi amici ci ha permesso di trascorrere un Natale più ricco.

Savina D’Incognito (Milano). Per me la morte di mio figlio è coinciso con la chiamata di Cristo, un urlo che non volevo ascoltare né accettare. Cristo mi si è poi mostrato prendendomi per mano e, quando ho capito che dovevo solo affidarmi e seguire ciò che Lui mi avrebbe indicato, mi sono sentita trasformata. Ho trovato la serenità che mi fa sentire meglio. Trovando Cristo ho trovato me stessa e la coscienza di un destino buono che accompagna la mia vita. Frequentemente desidero ricordare il dramma accadutomi per non perdermi in cose banali.

Maria Vallini (Arcore). Il 28 dicembre sono partita per la Terra Santa ed ho vissuto nel Getzemani per una settimana. Anche per me sono trascorsi venti anni dalla morte di mia figlia. Devo molto alla compagnia di Famiglie in Cammino anche se, all’inizio, ho fatto molta fatica ad accettarla.

Giuseppe Fertitta (Busto A.). Quando ho letto sui giornali il riemergere della vicenda di Lidia ho provato grande rabbia perché la magistratura, in tutti questi anni, non ha saputo trovare il colpevole. Il mio pensiero si è poi spostato su Paola e Giorgio perché il riaprirsi del caso fa riaprire la ferita. Nella Messa in suffragio di Lidia la quantità di persone presenti mi ha fatto capire quanto fosse stata stimata e amata.
Credo che Dio non permetterebbe il dolore se non volesse ricavarne un bene, segreto e misterioso ma reale. Sono convinto che il dolore non sia uno scherzo crudele del caso ma una misteriosa partecipazione alla passione di Gesù Cristo. Dobbiamo portare il dolore senza perdere la fiducia in Dio. La cosa più grande da chiedere al Signore è che sia fatta la sua volontà e non la nostra.
Vengo qui per incontrare dei fratelli con cui camminare, pronti ad aiutarci l’un altro.

Marcello Crolla (Busto A.). E’ da un anno che la nostra famiglia ha programmato di andare a Montevideo, per festeggiare i novanta anni di mia mamma e incontrare mio fratello. Purtroppo dieci giorni fa abbiamo ricevuto la telefonata di mia cognata che ci comunicava che mio fratello era gravemente malato. Mi sto chiedendo cosa potrò dirgli quando ci incontreremo sapendo quanto poco gli rimane da vivere. Mi sembra di rivivere il dolore provato con la morte di mio figlio.
Non sono un uomo vaccinato contro il dolore. Sono però certo che saprò trovare una parola di speranza. Chiedo a tutti voi una preghiera perché il mio dolore sia sostenuto. Dopo tanti anni trascorsi nella compagnia di Famiglie in Cammino e dopo aver visto il cambiamento avvenuto in tanti di noi, potrò dire a mio fratello che vale la pena di vivere fino all’ultimo istante.

Fiorina Canato (Cairate). Una signora di Cairate a trent’anni era rimasta vedova con un figlio che, all’età di quindici anni, aveva iniziato a drogarsi. Ella aveva lottato dieci anni per poterlo recuperare. Questo figlio è morto tre anni fa e lei aveva abbandonato la fede. Dopo un lungo periodo trascorso nella disperazione è ritornata a fidarsi di Dio e ha di nuovo trovato la pace.

Don Giancarlo L’ incontro odierno ha evidenziato due aspetti.
Il primo è che, dentro il dilagare del male, è presente una positività che riesce a contenere o a vincere il male. Il contenuto del bene e del vero incontrato in Gesù, attraverso la compagnia di persone che lo rendono reale ed incontrabile, ha fatto affiorare sulle labbra di parecchi di voi ripetuti grazie. Anche oggi abbiamo ascoltato esperienze nelle quali la gratitudine e la riconoscenza sono state superiori ai drammi e ai problemi.

Il secondo riguarda la coscienza cristiana divenuta criterio di rinnovamento per valutare e vivere la realtà. Chi ha incontrato Gesù ha trovato il senso nuovo di tutto. Cristo ci ha reso invincibili anche di fronte al dolore. Non lo ha tolto ma ci ha insegnato a viverlo con dignità e speranza. Come ha fatto lui che si è lasciato mettere su una Croce e lo ha redento nel sangue versato. Questo evento è il miracolo per eccellenza della storia. Il miracolo è un segno dell’amore di Dio. Non cambia la faccia della terra, ma nel deserto di essa sboccia come un fiore. Quando nel deserto sboccia un fiore c’è speranza di vita per tutti.
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